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Vaccini, tre mesi di campagna aspettando lo sprint

Vaccini, tre mesi di campagna aspettando lo sprintCentro Vaccini di Monza – Ansa

A che punto siamo Le incognite per il futuro: le disparità tra regioni, le dosi mai arrivate, il dibattito sulla sicurezza del siero AstraZeneca

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 4 aprile 2021

A tre mesi dall’inizio della campagna vaccinale, è possibile tirare un primo bilancio su come stiamo usando l’arma più importante che abbiamo contro la pandemia. L’arrivo di più vaccini a meno di un anno dalla comparsa del nuovo virus è un’impresa scientifica che rimarrà nella storia.

Ma, come spesso avviene per le scoperte epocali, è compito della politica impedire che una conquista della scienza si trasformi in un privilegio per pochi o in una minaccia da temere. Finora la politica non ha dato grande prova di sé nel garantire che i vaccini arrivassero laddove ce n’è più bisogno. Al contrario, ha persino acuito le disuguaglianze tra una regione e l’altra che la pandemia aveva provocato.

SE SI GUARDANO I NUMERI assoluti, le regioni italiane hanno somministrato quasi tutte le dosi fornite dalle case farmaceutiche. All’interno di questa situazione apparentemente uniforme, tuttavia, si nascondono notevoli disuguaglianze tra il bisogno reale di dosi, variabile per classi di età, e la loro reale disponibilità. Un rapporto appena pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità mette a confronto il rischio nella fascia più vulnerabile degli ultra-ottantenni e le somministrazioni dei vaccini in quella fascia.

Diverse regioni hanno vaccinato un numero molto limitato di grandi anziani: in Toscana, Sardegna, Calabria, Sicilia e Lombardia, meno della metà degli over 80 hanno ricevuto una dose. Ma in molte di queste aree gli anziani contagiati sono stati relativamente pochi. In Calabria, il tasso di mortalità per Covid-19 in questa fascia di età è dello 0,4%.

Anche in Sicilia, Sardegna e Toscana non ha superato l’1% e le mancate vaccinazioni sono state parzialmente compensate da un rischio di morte inferiore. La principale e più grave eccezione è rappresentata dalla Lombardia. La Regione ha vaccinato solo il 49,4% degli ultraottantenni, che a causa della pandemia hanno sofferto di un tasso di mortalità del 2,5%, il più elevato in Italia dopo la Val D’Aosta.

È probabile che il dato lombardo (18 mila morti ultraottantenni) sia persino sottostimato: secondo i dati Istat sull’eccesso di mortalità, circa cinquemila over 80 sono morti di Covid senza ricevere un test. Gli anziani della Lombardia, dunque, si trovano in una situazione poco invidiabile: sono allo stesso tempo quelli che rischiano di più, ma sono stati vaccinati meno di quasi tutti in Italia.

IL NUOVO PIANO prevede che ora le vaccinazioni procedano solo rispettando il criterio dell’età e siano destinate scorte alle regioni in difficoltà. Riequilibrare la situazione però potrebbe rivelarsi più difficile del previsto, perché le regioni dovranno presto assicurare i richiami e non potranno rinunciare alle dosi a favore di altre. Molto dipenderà dalle forniture in arrivo dall’Ue, il punto debole della campagna. Il commissario Figliuolo ha fallito il primo degli obiettivi che si era dato il 13 marzo presentando la nuova strategia vaccinale: raggiungere il ritmo di 300 mila somministrazioni giornaliere entro il 23 marzo.

Quella soglia non è stata mai raggiunta, e ci si è andati vicini solo nell’ultima settimana. Le vaccinazioni stanno accelerando ma lungo la stessa curva che seguivano sotto la gestione Arcuri. Secondo i contratti pattuiti con le aziende, l’Unione avrebbe dovuto garantire 4 dosi di vaccino per ogni abitante entro il 2021. Per l’Italia, questo equivale a un portafoglio di 242 milioni di dosi. Ma dei circa 16 milioni di vaccini attesi nel primo trimestre ne sono arrivati solo 12.

La Pfizer, che finora ha consegnato 8,7 milioni di dosi, ha sostanzialmente rispettato i contratti. La AstraZeneca ne ha consegnate 2,7 milioni, la metà dei 5,4 stabiliti. Anche la Moderna, con 800 mila dosi consegnate sui 1,3 milioni promessi, è lontana dalle forniture programmate. Per il secondo trimestre si punta molto su 7,3 milioni di dosi promesse dalla Johnson&Johnson, che non necessitano di richiamo. L’azienda ha già fatto sapere che sarà difficile rispettare l’impegno, a causa dei problemi incontrati nel reperimento delle materie prime. Pochi giorni fa, la J&J ha comunicato pure la perdita di 15 milioni di dosi (destinate al mercato Usa) a causa di un errore commesso nello stabilimento di Baltimora.

OLTRE ALLE DISPARITÀ regionali e alle scarse forniture, l’ultima incognita sulla strada dell’immunità proviene dalle agenzie regolatorie. Il 6 aprile gli esperti dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) si riuniranno per esaminare di nuovo il dossier AstraZeneca. I tecnici dovranno decidere se l’eventuale associazione tra il vaccino e alcuni rari casi di trombosi cerebrale in persone giovani registrati in diversi paesi europei suggerisca di restringerne l’uso in alcune fasce di età.

Saranno decisivi i dati raccolti in questi ultimi giorni nei vari paesi, anche fuori dal’Ue. Venerdì il governo olandese ha riferito di 5 casi su 400 mila somministrazioni. L’ultimo rapporto dell’agenzia del farmaco inglese (Mhra) parla invece di 22 segnalazioni analoghe su 18,1 milioni di somministrazioni: un’incidenza molto inferiore a quella olandese, ma con una maggiore percentuale di anziani nel campione. La discrepanza tra i dati europei e quelli inglesi rischia di essere decisiva per il verdetto dell’Ema.

Nel rapporto pubblicato il 24 marzo subito dopo il primo stop temporaneo al vaccino deciso dai governi, il numero dei casi registrati nell’Ue appariva cinque volte superiore alle attese. Includendo nell’analisi anche le segnalazioni del Regno Unito l’aumento risultava invece più limitato (+42%) e compreso nella naturale variabilità statistica.

NON CI SAREBBERO STATI dubbi sull’includere i dati inglesi nel campione e ritenere sicuro il vaccino, se il Regno Unito non avesse abbandonato l’Ue e costretto l’Ema a traslocare da Londra a Amsterdam. Con le nuove relazioni, anche i sistemi di farmacovigilanza seguono regole diverse e l’esito dell’esame è ora più incerto. Se l’Unione dovrà rinunciare almeno in parte al vaccino inglese, sarà anche colpa della Brexit.

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