Le trombosi sospette nelle persone che hanno ricevuto il vaccino AstraZeneca, e le cui cause sono ancora tutte da accertare, hanno riguardato una maggioranza di donne per motivi ancora oscuri. Potrebbe dipendere dal maggior numero di donne vaccinate rispetto agli uomini, oppure da una diversa risposta immunitaria tra i due sessi. Le differenze biologiche tra uomini e donne si riflettono nella reazione a farmaci e vaccini, un aspetto a lungo e colpevolmente trascurato della medicina. Per studiarlo, all’Istituto Superiore di Sanità da alcuni anni esiste un Centro di riferimento per la medicina di genere, guidato dalla virologa Anna Ruggieri.

Dr.ssa Ruggieri, sarebbe sorpresa se i vaccini anti-Covid avessero effetti diversi in uomini e donne?

Non mi sorprenderei perché di solito la risposta immunitaria nelle donne è più intensa rispetto agli uomini. Quindi anche la risposta ai vaccini è diversa tra i due sessi. Dopo le vaccinazioni, le donne sviluppano livelli più alti di anticorpi, anche doppi rispetto agli uomini. Vale per tutte le vaccinazioni, dall’età infantile a quella adulta e senile. Lo si è visto alcuni anni fa in uno studio sul vaccino anti-influenzale stagionale: alle donne è stata somministrata una dose di vaccino dimezzata rispetto a quella data agli uomini ma la risposta anticorpale indotta è risultata la stessa. Tuttavia la maggiore immunoreattività femminile è un’arma a doppio taglio, perché la reazione immunitaria più intensa espone le donne a sviluppare malattie auto-immuni più spesso degli uomini. In vaccinologia questo si traduce in un numero maggiore di eventi indesiderati tra le donne. Vale in tutti i vaccini, non è un problema legato ad un vaccino specifico.

Quali sono le ragioni di questa diversa risposta immunitaria?

La maggiore immunoreattività femminile è conservata nella scala evolutiva, dal riccio di mare al moscerino della frutta, dagli uccelli fino ai primati. La maggiore risposta immunitaria femminile serve a garantire la sopravvivenza dell’organismo responsabile della procreazione. Tra i fattori ci sono gli ormoni sessuali: gli estrogeni hanno un effetto immunostimolante e gli androgeni, come il testosterone, sono immunosoppressivi. Poi ci sono fattori genetici ed epigenetici. Il cromosoma X, che nelle donne è presente in due copie di cui una parzialmente inattivata, contiene molte informazioni per la sintesi delle molecole del sistema immunitario, come anticorpi e recettori, e per la sua regolazione, come i microRNA. Questa ridondanza conferisce alle donne una maggiore capacità di produrre e regolare la risposta immunitaria.

La medicina tiene conto di queste differenze?

Sono conoscenze molto recenti. Si inizia a tenerne conto nelle sperimentazioni cliniche, che oggi per legge devono includere anche le donne. In passato, infatti, venivano escluse per motivi etici e perché era complicato tenere conto, nell’analisi dei dati, delle fluttuazioni del ciclo mestruale. Perciò si preferiva studiare – anche negli animali – i maschi e poi generalizzare alla popolazione femminile. Se le sperimentazioni devono includere entrambi i sessi si raddoppia il numero di esperimenti e di individui necessari, e questo aumenta notevolmente i costi. Inoltre, quasi sempre i risultati delle sperimentazioni farmacologiche e vaccinali non vengono analizzati in modo disaggregato per sesso: si includono uomini e donne, ma poi spesso si fa la media dei risultati. Questo può portare a mascherare differenze importanti tra uomini e donne nella risposta ai farmaci o ai vaccini.

In Italia c’è attenzione per questi aspetti della medicina?

L’interesse sta crescendo moltissimo. Unico paese in Europa, dal 2017 abbiamo una legge affinché la medicina sia orientata al genere ed un Piano nazionale per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere. Proprio in questi giorni è stato istituito un Osservatorio nazionale presso l’Iss allo scopo di vigilare sull’applicazione del Piano nazionale, a tutti i livelli di quanto previsto dalla legge, ovvero in ambito diagnostico, clinico, di ricerca e anche nella formazione alla medicina di genere di tutti i professionisti sanitari, a partire dall’istruzione universitaria.