Dopo le indiscrezioni circolate su un possibile accordo al Wto sulla moratoria ai brevetti sui vaccini, chi ha seguito da vicino il negoziato parla di un topolino uscito dalla montagna. Il compromesso raggiunto avrebbe molte limitazioni e rischia di avere un impatto ridotto sull’accesso ai vaccini. La possibilità di un accordo per certi versi «storico» sta infiammando la discussione tra gli attivisti, invece di quietarla.

Per Vittorio Agnoletto, portavoce della campagna «Nessun profitto sulla pandemia», l’ipotesi di moratoria è un risultato in chiaroscuro. «Il chiaro è che l’Ue dopo due anni riconosce che i brevetti sono un problema» spiega il medico e attivista milanese. L’Ue è stata finora il blocco più agguerrito contro la moratoria. «Lo scuro è che in questo accordo si prevede che la moratoria sui brevetti sia solo sui vacccini e non sui kit diagnostici e sui farmaci, come chiesto da India e Sudafrica».

IN ORIGINE, la moratoria proposta nell’ottobre del 2020 riguardava anche i segreti industriali, i copyright e la proprietà intellettuale su modelli e marchi. Per realizzare una produzione di vaccini su scala industriale, infatti, non contano solo i brevetti. «Ogni azienda utilizza proprie linee cellulari, adiuvanti proprietari, tecnologie coperte dalla proprietà intellettuale», spiega al sito indiano Business Standard Sharvil Patel, direttore della produzione alla Zydus Lifesciences, una delle principali case farmaceutiche indiane specializzate nella produzione di farmaci generici.

Anche Medici Senza Frontiere (Msf), una delle Ong che ha più combattuto per allargare l’accesso alle cure, si dice insoddisfatta. «Escludere le cure e i test diagnostici – spiega Dimitri Eynikel, consulente per la campagna sull’accesso ai farmaci di Msf – è una questione critica perché l’accesso alle cure è tuttora un problema in molti paesi a basso e medio reddito, soprattutto in America Latina».

In effetti la Pfizer ha stipulato un accordo con il Medicines Patent Pool, organismo internazionale che permette di produrre a condizioni molto favorevoli farmaci brevettati, per il nuovo farmaco antivirale Paxlovid. Il Pool copre solo alcuni paesi a basso reddito ed esclude gran parte dell’America Latina, l’area del mondo che secondo gli epidemiologi ha registrato il più alto numero di morti per Covid-19. Paesi come Perù, Paraguay o Ecuador dovranno dunque competere con le superpotenze del nord per l’accesso ai farmaci. L’asticella economica è altissima, visto che il prezzo di mercato del Paxlovid è di oltre 500 euro a trattamento.

LA BOZZA CHE CIRCOLA al Wto non esclude che la moratoria sia estesa anche ai farmaci ma dà agli Stati membri altri sei mesi per discutere l’eventuale allargamento.
James Love, fondatore della Ong Knowledge Ecology International, parla di un accordo «restrittivo e limitato». E sottolinea come l’accordo trapelato sia in sostanza una riaffermazione di diritti già previsti dal Trips, il vigente trattato internazionale sulla proprietà intellettuale emendato grazie alle battaglie delle associazioni per l’accesso ai farmaci anti-Hiv e del movimento di Seattle, in cui Love fu in prima fila. Durante le crisi sanitarie, il Trips consente ai paesi la produzione di farmaci e vaccini senza rispettare i brevetti. Questa flessibilità può essere utilizzata in maniera predominante verso il mercato interno del paese che vi ricorre, mentre la nuova moratoria permetterà di esportare senza limiti i vaccini anche in altri paesi. Ma i passi in avanti si fermano qui.

«L’accordo – spiega Love – è riservato ai paesi in via di sviluppo che hanno esportato meno del 10% dei vaccini durante la pandemia». Una clausola che serve a escludere Brasile e, soprattutto, Cina, potenziali concorrenti di Big Pharma. I paesi dovranno fornire «chiarimenti» al Wto sui brevetti da utilizzare, un requisito non richiesto nemmeno dalle «flessibilità» già previste dal Trips. «Nel complesso – conclude Love – l’accordo sarà gradito alla PhRMA (la principale lobby farmaceutica al mondo, ndr) dato che permetterà di chiudere il dibattito in corso al Wto sull’impatto della proprietà intellettuale sulla pandemia».