Mentre il mondo si riprende dalla pandemia, l’Africa si trova ancora a colmare le disuguaglianze nella distribuzione dei vaccini contro il virus del Covid-19. Allo stesso tempo, il continente è stato dichiarato «l’hotspot del cambiamento climatico» dall’International Panel on Climate Change (Ipcc) – il gruppo internazionale sui cambiamenti climatici. Se la temperatura globale aumentasse di 2°C si esporrebbero circa 118 milioni di persone all’estrema siccità, povertà, carestia e migrazione forzata». Anche se l’Africa contribuisce solo al 4% dell’emissione globale di anidride carbonica (Co2).

ALLA CONFERENZA COP26 si sono riunite le parti per accelerare l’azione verso gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e della Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici. Ci si aspetta che i Paesi africani negozino la loro posizione e chiedano alle nazioni di rispettare i loro impegni per finanziare la lotta contro il cambiamento climatico e attuare le regole stabilite nell’accordo. Second Tanguy Gahouma-Bekale, il presidente del African Group of Negotiators on Climate Change, ha affermato che «queste negoziazioni sono cruciali per il nostro continente». Tuttavia, molti leader africani non si sono presentati alla conferenza.

Samia Suluhu Hassan, presidente della Tanzania, nel suo discorso a Glasgow ha invitato i Paesi sviluppati a rispettare entro il 2025 le loro promesse di finanziamento ai Paesi maggiormente colpiti: «Sappiamo quello che occorrerebbe e sappiamo che se il mondo non si comporta di conseguenza, Paesi come il nostro, con meno adattabilità, non avranno altra scelta che prepararsi a eventi più devastanti e allo scioglimento dei ghiacciai. Il nostro esotico e bellissimo arcipelago, Zanzibar, sta lottando contro le penetrazioni di acqua salata e le alluvioni, che incidono sulla sua vocazione turistica. Cosa significa tutto questo per un Paese povero come la Tanzania? Significa che il 30% del nostro Pil che proviene da agricoltura, silvicoltura e pesca non è sostenibile».

SECONDO IL RAPPORTO sui bisogni finanziari dei Paesi in via di sviluppo presentato alla Cop26, «si stima che occorrerebbero un trilione di dollari all’anno entro il 2030 per combattere l’impatto del cambiamento climatico, dieci volte più della somma inizialmente promessa dai Paesi sviluppati per finanziare le economie dei Paesi in via di sviluppo». Tuttavia, il 90% dell’economia di molti Paesi africani dipende ancora dall’esportazione di greggio, gas e carbone, che genera miliardi di dollari di entrate ogni anno. Nigeria e Angola sono tra i maggiori Paesi esportatori di combustibili fossili e non hanno sottoscritto l’accordo firmato da 40 Paesi per fermare entro il 2022 l’estrazione del carbone e la costruzione di nuove centrali elettriche a carbone. Altri Paesi come Gambia e Ruanda hanno affermato che «l’accordo sarà valutato e allineato con i progetti energetici nuovi, esistenti e in corso nei rispettivi Paesi». Mentre il Sudafrica, uno dei 12 maggiori emettitori di carbonio, si è impegnato a porre fine all’uso del carbone entro il prossimo anno.

L’AFRICA HA UN LIVELLO basso di emissioni ma la gran parte della sua popolazione è ancora priva di accesso all’energia elettrica. Di conseguenza, l’industrializzazione e la stabilità economica sono rimaste fuori della portata di vaste aree del continente. I Paesi africani sperano che le decisioni prese si trasformino in opportunità, dopo la Cop26. In modo da poter rafforzare lo sviluppo delle infrastrutture e le capacità tecnologiche, e poter portare una stabilità sociale nel loro continente.