I numeri sono dalla parte di Belgrado, almeno per ora. Nella spietata corsa ai vaccini, la Serbia finora ha adottato una strategia vincente: rifornirsi velocemente e direttamente del numero più alto possibile di tutti i vaccini sul mercato, russi, cinesi, occidentali. Un caso unico nella regione che al contrario contava sulle scorte in più acquistate dall’Ue e promesse da Bruxelles agli Stati dei Balcani, e sul Covax, il meccanismo dell’Oms che garantisce l’accesso ai vaccini per i Paesi a medio e basso reddito, di cui l’Europa è uno dei principali donatori.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Il governo di Belgrado ha avviato – prima ancora dell’Ue – una campagna di vaccinazione di massa che in Europa ha pochi eguali: terza dopo Regno Unito e Malta, la Serbia vanta più di 38.5 dosi di vaccino somministrate ogni 100 abitanti, più del doppio della media europea, ferma a 17. Il picco maggiore si registra nella capitale dove è stato vaccinato circa il 32% dei cittadini: ogni giorno in media vengono inoculate 8 mila dosi solo nella fiera di Belgrado, uno dei più grandi centri vaccinali di tutta la Serbia.

Il confronto con i restanti Paesi della regione è impietoso. L’Albania è l’unico Stato, oltre alla Serbia, ad aver avviato una campagna di vaccinazione di massa, seppur a stento e in ritardo. Per il momento Tirana può contare su 290 mila dosi di AstraZeneca, Pfizer, Sinovac e Sputnik V, ma nelle prossime settimane dovrebbero arrivare quantitativi più importanti grazie all’accordo stretto dal premier albanese Edi Rama in Turchia per la fornitura di un milione di dosi del vaccino cinese Sinovac.

Al pari dell’Albania, anche Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia del Nord sono dovute correre ai ripari, e in attesa dell’Ovest, hanno iniziato a guardare ad Est, a Russia e Cina. Per l’Europa una vera e propria debacle: in difficoltà per i continui tagli alle consegne destinate ai propri cittadini, Bruxelles non ha condiviso alcuna scorta in più coi Balcani dove solo nell’ultima settimana sono arrivati i primi lotti da poche migliaia di vaccini tramite il Covax. Caso eccezionale nell’eccezionalità, quello del Kosovo, ultimo dei Paesi europei ad aver ricevuto i vaccini, 24 mila dosi di AstraZeneca nel quadro dell’iniziativa dell’Oms.

Pristina è stata penalizzata dal ’sovranismo vaccinale’ che caratterizza questa prima fase della vaccinazione statunitense e dall’assenza dei rapporti con Mosca e Pechino che non riconoscono lo Stato del Kosovo. A queste difficoltà si è aggiunto il silenzio eloquente della Turchia, che non ha fatto mancare il suo sostegno ai Paesi a maggioranza musulmana dei Balcani, Bosnia e Albania, negandolo invece al Kosovo a cui contesta l’apertura recente dell’ambasciata a Gerusalemme.

Mentre il resto dei Balcani arranca, quindi, Belgrado guarda già al prossimo obiettivo: trasformare la Serbia in un centro di produzione dei vaccini che ne garantisca «una grande quantità per noi e per la regione», ha dichiarato il presidente serbo Aleksandar Vucic da Abu Dhabi. Belgrado, infatti, ha stretto un accordo con Emirati Arabi Uniti e Cina per la costruzione di una fabbrica in Serbia che dal 15 ottobre inizierà a produrre il vaccino cinese di Sinopharm. Lo stesso giorno il ministro per l’innovazione e lo sviluppo tecnologico serbo Nenad Popovic, annunciava l’avvio della produzione in Serbia dello Sputnik V entro il 20 maggio.

Vucic non si è fermato qui. Forte dei suoi 15 milioni di vaccini ordinati e di 2.1 milioni di prime dosi somministrate su una popolazione di 7 milioni di abitanti, la Serbia ha donato e venduto alcune migliaia di dosi a quasi tutti i Paesi confinanti, consentendo loro di mettere in sicurezza parte del personale sanitario alle prese con una “preoccupante” impennata di contagi, come denunciato dall’Oms nelle scorse settimane.

Non una questione di geopolitica, ma di solidarietà, ripetono come un mantra da Belgrado, accusata di voler strumentalizzare le debolezze degli altri Stati per un ritorno di immagine. Particolarmente discussa è stata la possibilità offerta ai cittadini della regione di vaccinarsi gratuitamente in Serbia, previa registrazione online. All’iniziativa, promossa dalla camera di commercio serba e riguardante un lotto di vaccini AstraZeneca in scadenza, hanno aderito migliaia di bosniaci, montenegrini, macedoni, albanesi, persino qualche kosovaro, accorsi lo scorso weekend in Serbia per ricevere il vaccino. Sarebbero 22mila gli stranieri vaccinati finora in Serbia, tra cui diversi migranti presenti nel Paese.

Nonostante il successo clamoroso della campagna vaccinale serba, Belgrado rischia ora di subire un’altrettanto clamorosa battuta d’arresto principalmente per due motivi. Il primo è lo scetticismo diffuso tra i cittadini rispetto ai vaccini. Secondo uno studio citato dall’Economist, infatti, il 70% dei serbi crede ad almeno una teoria del complotto sulla pandemia, percentuale di gran lunga superiore alla media rilevata in Europa occidentale, pari a circa il 25%, e che dimostra quanto la disinformazione e le fake news abbiano trovato terreno fertile in Serbia negli ultimi anni.

Il secondo punto è politicamente più spinoso. Come evidenziato dal Financial Times, il meccanismo Ue di controllo alle esportazioni dei vaccini potrebbe avere dei contraccolpi sulla campagna vaccinale serba. Nel vertice di venerdì scorso i 27 hanno concordato tra l’altro dei controlli più stringenti sui vaccini fabbricati in Ue ed esportati in Paesi terzi con un elevato tasso di immunizzazione. Una misura «orribile», ha lamentato Vucic nell’intervista al quotidiano della City, che mette potenzialmente a rischio 450 mila dosi di Pfizer prodotti in Europa, il cui arrivo in Serbia è previsto in questo mese.

Un’eventuale mossa di Bruxelles in questa direzione avrebbe un valore più simbolico che reale: non compromettere la campagna vaccinale serba, ma dimostrare a Belgrado che oscillare tra Est e Ovest può anche avere degli effetti collaterali. Vucic è avvisato.