È stata un’infermiera messicana, María Irene Ramírez, la prima persona vaccinata contro il Covid in America Latina, dove la pandemia ha provocato circa 15 milioni di contagi e quasi 500mila morti. Ma se è stato il Messico, il quarto paese con più decessi al mondo, a dare il via alle vaccinazioni con la somministrazione, il 24 dicembre, delle prime tremila dosi della Pfizer, ad accompagnarlo, lo stesso giorno, sono stati anche il Cile e la Costa Rica. Mentre lunedì sarà la volta dell’Argentina, che ha già ricevuto le prime 300mila dosi del vaccino russo Sputnik V, in attesa di riceverne 20 milioni entro febbraio.

In questo quadro, risulta ancor più sconcertante il ritardo registrato dal Brasile, dove, secondo le ottimistiche parole del ministro della Salute Pazuello, nella migliore delle ipotesi le prime dosi arriveranno alla fine di gennaio e, nella peggiore, alla fine del mese successivo.

Del resto, Bolsonaro – unico presidente al mondo impegnato a sabotare la campagna di vaccinazione nel proprio paese – ha già chiarito di non «aver fretta di spendere» i 20 miliardi di reais destinati all’acquisto dei vaccini, convinto che la pandemia stia «giungendo al termine», malgrado gli oltre 5.200 decessi in una sola settimana, per un totale di più di 190mila morti. E convinto, anche, che la migliore strategia contro la pandemia sia lo stesso Covid-19: «Ho avuto il miglior vaccino, il virus, e senza effetti collaterali».

Così, facendosi intervistare nel suo canale Youtube da suo figlio Eduardo – quindi, in pratica, suonandosela e cantandosela – il presidente ha ritenuto ingiustificata qualsiasi fretta, tanto più in quanto, ha spiegato, con la vaccinazione «vai a inoculare qualcosa dentro di te e il tuo sistema immunologico può reagire in maniera imprevista».

Una nuova versione, insomma, dell’ormai celebre «se diventi un alligatore è un problema tuo», a proposito degli eventuali effetti collaterali del vaccino Pfizer, di cui il gigante farmaceutico sarebbe «stato molto chiaro a non assumersi la responsabilità».
Dichiarazione che aveva scatenato un’ondata di ironia sulle reti sociali, dove i meme con il coccodrillo erano diventati immediatamente virali, con commenti del tipo «Brasiliano teme di diventare coccodrillo e venire ucciso da Ricardo Salles» (in riferimento agli alligatori morti durante gli incendi che hanno devastato il Pantanal nell’indifferenza del ministro dell’Ambiente).

E si è fatto sentire anche Lula, ricordando gli oltre 80 milioni di persone vaccinate contro l’influenza suina in appena 3 mesi nel 2010, «quando il Brasile aveva un governo che si prendeva cura delle persone». E aggiungendo: «Nessuno è diventato alligatore».

Al momento, il governo brasiliano, che rischia di trovarsi a corto persino di siringhe (dopo aver ignorato per sei mesi un’offerta di acquisto da parte della Cina), ha firmato un accordo solo con l’AstraZeneca, mentre sta andando in porto quello con la cinese Sinovac Biotech per il vaccino Coronavac, prodotto in collaborazione con l’Istituto Butantan di São Paulo, malgrado l’impegno di Bolsonaro a metterne in dubbio l’efficacia. Mentre solo ora sta negoziando con la Pfizer, la quale aveva inviato già ad agosto a Pazuello una proposta di acquisto di milioni di dosi ma senza ottenere risposta.

Né dei ritardi e dell’assenza di programmazione né del numero di morti e contagi la popolazione sembra però dare la colpa a Bolsonaro. Secondo un recente sondaggio Datafolha, è il 52% dei brasiliani a scagionare il presidente, a fronte di un 38% che lo ritiene uno dei colpevoli e di un 8% che lo considera il principale responsabile.