Ammalarsi dopo aver completato il ciclo vaccinale non è impossibile. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), alla fine di luglio le persone contagiate dopo due dosi (o una, nel caso del vaccino Janssen) in Italia erano 18 mila. Vaccinarsi rimane però utilissimo. Quei 18 mila casi sono una percentuale bassissima della popolazione vaccinata, 27 milioni di persone a quella data (oggi sono oltre 35 milioni). Secondo l’Iss, la probabilità di risultare positivi dopo aver completato il ciclo è 4-5 volte inferiore rispetto a chi non si è vaccinato. Eppure, a tutti capita sempre più spesso di imbattersi in persone vaccinate e contagiate: significa che le statistiche mentono?

In realtà, nessuno scienziato serio sostiene che i vaccini abbiano un’efficacia del 100%, irraggiungibile per qualunque farmaco. I test delle aziende farmaceutiche che hanno sviluppato i vaccini anti-Covid hanno misurato valori di efficacia superiori al 90%, ma non hanno escluso la possibilità di ammalarsi. Anzi, è buona norma diffidare di un’efficacia del 100%: probabilmente il campione osservato è troppo piccolo per rilevare casi rari. Anche la probabilità di ottenere testa o croce lanciando una moneta è del 100%, se la si lancia una sola volta.

Le possibili cause di contagio in una persona vaccinata sono varie. Innanzitutto, la vaccinazione presuppone un sistema immunitario in piena efficienza, e non è sempre così. L’età e le terapie seguite da chi ha ricevuto un trapianto o si cura per un tumore o una malattia auto-immune limitano la risposta immunitaria. E anche senza rientrare in queste categorie è possibile contrarre il coronavirus da vaccinati. Il tempo necessario allo sviluppo degli anticorpi è di 2-3 settimane. Prima, si è vaccinati solo sulla carta.

Sono tutte casistiche rare. Ma dato che si applicano a una popolazione di vaccinati che cresce ogni giorno di alcune centinaia di migliaia di unità, i loro numeri assoluti aumentano nel tempo, dando l’impressione errata che i vaccini funzionino meno di quanto dica la scienza ufficiale. È noto che il nostro cervello fatichi a interpretare razionalmente la probabilità di eventi rari: ce ne accorgiamo quando giochiamo alla lotteria.

Non tutti però ritengono che l’aumento dei contagi tra i vaccinati sia un mero effetto statistico. Secondo gli scienziati del centro di ricerca Kahn e Sagol di Tel Aviv, chi si è vaccinato all’inizio del 2021 oggi si sta contagiando con una frequenza maggiore di chi lo ha fatto più recentemente. Potrebbe essere il segnale che la protezione, di cui non conosciamo ancora la durata, svanisce nel giro di pochi mesi. Per questo il governo israeliano ha già deciso che gli ultracinquantenni dovranno ricevere una terza dose di vaccino a mRna. Tuttavia, i risultati dello studio di Tel Aviv non sono stati confermati in altri paesi e sono contestati da altri ricercatori, secondo cui le popolazioni confrontate non sarebbero omogenee. A sentire le aziende produttrici, un calo nella protezione c’è ma è molto limitato. Sei mesi dopo la vaccinazione, l’efficacia rimane superiore all’80%.

Un altro fattore che potrebbe provocare un reale calo di protezione è la diffusione di varianti in grado di aggirare la risposta immunitaria. I numeri per il momento mostrano che la variante “delta”, dominante in gran parte dell’occidente, riesce a “bucare” i vaccini solo in minima parte, dopo due dosi. Più a rischio altre varianti, come la “beta”, che però sono poco diffuse alle nostre latitudini.

In ogni caso, anche chi si ammala dopo le due dosi difficilmente sviluppa forme gravi di Covid-19 o ne muore: magari in ritardo, ma la risposta immunitaria stimolata dal vaccino di norma sconfigge il virus prima che faccia danni nell’organismo. Lo conferma il report dell’Iss. Il ricovero è nove volte meno probabile nei vaccinati. Tra i 60 e gli 80 anni, il rischio di finire in terapia intensiva dopo due dosi è venti volte inferiore. Per gli over 80, il rischio di morire scende di quindici volte.

D’altronde prevenire i sintomi del Covid, e non la semplice infezione virale, era l’obiettivo degli scienziati che hanno lavorato ai vaccini oggi disponibili. Nelle sperimentazioni non sono stati monitorati i casi positivi asintomatici, che rappresentano la maggioranza e continueranno a diffondere il virus anche quando tutti saranno vaccinati. Non è una dimenticanza ma una scelta pianificata a tavolino. Per rilevare le infezioni asintomatiche sarebbe stato necessario sottoporre decine di migliaia di partecipanti a tamponi molecolari ripetuti: un simile sforzo organizzativo avrebbe aumentato i costi per le aziende, ostacolato il reclutamento dei volontari e rallentato lo sviluppo dei vaccini. I vaccini dunque funzionano, a patto di usarli per lo scopo per il quale sono stati messi a punto: utilissimi per proteggere gli individui dal Covid, ma non sufficienti, da soli, per cancellare il virus.