La prima cosa che ci dichiara Kommunisten è l’idea di un cinema pensato dal suo stesso autore, Jean Marie Straub come a un archivio personale da utilizzare ’funzionalmente’ a un obiettivo determinato. Alla proiezione, lo scorso anno al Festival di Locarno, il film da oggi in sala, grazie alla intraprendenza della casa di distribuzione Boudu (www.boudu.it, a Milano al Cinema Beltrade, Milano Cinema Beltrade, fra le altre città il 10 e 11 novembre al Lux di Padova, domani Giorgione Venezia e il 20 al teatro Palladium di Roma , Cinema dei Fabbri a Trieste l’11 e 12, Terni Cityplex – 10 e 11, De Seta a Palermo in collaborazione con Associazione Lumpen, l’11, all’Auditorium di Bergamo il 17 e 18) è arrivato in una «copia lavoro», scelta che sembrava mettere quasi in secondo piano il puntiglio per la luce a cui ci ha abituati la ricerca dei cineasti, e che invece dichiara con lucida consapevolezza una visione del mondo.

È un metodo di lavoro non nuovo per Straub, basti pensare a Cézanne, il quale al suo interno accoglieva già La morte di Empedocle Ma l’esempio più felice è sicuramente Proposta in quattro parti, realizzato da Straub e Huillet nel 1985 per «La Magnifica Ossessione», programma di Rai Tre/Fuori Orario. Quasi un film-saggio che comprendeva al suo interno un film di Griffith (A Corner in a Wheat) più estratti dai loro Mosè e Aronne, Fortini/Cani e Dalla nube alla resistenza.

Kommunisten ha così la forma di una lezione in cui i frammenti dei film del passato (Operai, contadini , La speranza, Troppo presto, troppo tardi, Fortini/Cani, La morte di Empedocle, Peccato nero) più uno «nuovo», in apertura, un dialogo estratto da Le Temps du Mépris di Malraux, possono essere utilizzati come materiale di studio.
Della novella di Malraux, poco conosciuta, ispirata probabilmente da Die Prüfung: Roman aus einem Konzentrationslager, romanzo semi-biografico di Willy Bredel, scrittore comunista tedesco, arrestato da Hitler e rinchiuso in un campo di concentramento, Straub mantiene l’interrogatorio, è sua la voce dell’ ’inquisitore che sentiamo fuori-campo.

Ogni «frammento» di quei materiali porta in un terreno aperto, in un passato che ci appare attuale perché gli interrogativi che sollevano sono rimasti senza risposta, se non quella di un’immagine che con determinazione non smette di porli. Kommunisten sono lui stesso e Danièle Huillet, ma è soprattutto quel loro cinema che ha attraversato il Novecento, i suoi conflitti e le sue impossibili utopie cercando nelle pieghe delle parole e delle immagini che le tessevano quanto rimasto sospeso, nascosto, sepolto tra gli oblii imposti da chi la Storia la scrive e la determina.

Lotta di classe e resistenza; lotta al colonialismo che comincia in fabbrica – un lungo piano di un’ occupazione nel Cairo che rivendica la propria indipendenza dagli inglesi – laddove è cominciato il cinema. E anche il suo trucco, gli operai messi davanti alla macchina da presa dai fratelli Lumière, padroni della fabbrica, potranno mai essere operai in lotta?
«Le masse rurali organizzano attentati e sabotaggi, lavoratori, studenti, ufficiali, disoccupati manifestano uno accanto all’altro nelle strade della capitale». Le lacerazioni dei comunisti, i loro cambiamenti, un movimento che riflette le trasformazioni delle società. L’Italia rurale di Operai contadini che piano piano si fa sedurre dalla fabbrica. L’Italia dei partigiani e dei fascisti, l’Europa del dopoguerra.

«Il genocidio ha prodotto per una sola generazione ciò che le classi subalterne hanno subito in secoli …». Fortini/Cani, il nazismo e la violenza dell’uomo sull’uomo nell’età moderna. Cosa significa comunisti? Cosa è nella Storia e cosa oggi in questo film che scompone la produzione di senso storico senza retorica della convenienza? Il cinema di Straub costruisce un pensiero, e in questo spazio dichiara la sua forza di resistenza, l’essere «cinema comunista» che significa non piegato alle celebrazioni dell’ideologia, e al corrispettivo di ciò che si intende – con malinteso – impegno o politicità delle immagini. Al contrario la sua libertà è porsi in contrasto con gli apparati dominanti cercando una corrispondenza tra le sue immagini e la sua la parola poetica: una nuvola, uno scorcio di cielo, le Alpi apuane, un bosco. «Neue Welt?» Nuovo mondo? si chiede pensosa Huillet nell’inquadratura finale (da Peccato nero), dicendoci già della sua impossibilità. Il mondo è un campo di battaglia, e il suo forse il desiderio di un’utopia a venire.