La ricostruzione non c’è, e il sospetto è che non ci sarà mai. Nove mesi dopo la prima scossa di terremoto che ha demolito buona parte dei paesi adagiati sull’Appennino tra le Marche, l’Umbria e il Lazio, niente si muove.

SE N’È ACCORTO il sindaco di Ussita Marco Rinaldi, eletto in una coalizione guidata dal Pd, che nella giornata di ieri si è dimesso dopo che il gip del Tribunale di Macerata ha messo i sigilli all’area che ospitava il camping «Il Quercione», dove il Comune aveva da anni cinque casette mobili e un prefabbricato in legno. E per questo il sindaco è stato iscritto nel registro degli indagati. Secondo il giudice, quell’area è protetta da un vincolo naturale, essendo nel Parco dei Monti Sibillini, e dunque non ci si può costruire niente all’interno. Nessun legame con il terremoto – le costruzioni sono lì dagli anni ’90 -, ma all’interno dei container molti abitanti del paese avevano sistemato alcuni beni personali, in attesa dei moduli abitativi provvisori. La decisione del gip maceratese ha lasciato dunque tutti di stucco, con il sindaco di Ussita che tenta la mossa clamorosa delle dimissioni: per legge adesso avrà venti giorni per ritirarle, ed è possibile che in questo lasso di tempo saranno i suoi stessi cittadini a chiedergli di resistere in sella. Il sasso, intanto, è stato comunque lanciato.

«TUTTA USSITA è in un’area protetta – tuona così Rinaldi -, questo vuol dire che la ricostruzione non si farà mai». Nessuno ha potuto fare nulla quando la polizia è arrivata a chiudere tutto. «I cittadini piangevano quando hanno messo i sigilli – racconta ancora il sindaco dimissionario -. Il territorio comunale è per lo più nelle stesse condizioni del camping, è vincolato. La conseguenza è che non si potrà mettere in atto nulla, i lavori di ripristino non si potranno fare».
E così, ieri pomeriggio Rinaldi ha protocollato le sue dimissioni irrevocabili. Per il sindaco «la fiducia nella magistratura è massima» come da copione, tuttavia «la vicenda diviene oltremodo preoccupante sotto il profilo della ricostruzione» perché «la paralisi del futuro piano di Ussita è assicurata. A questo punto che sussista o meno un intento politico volto alla desertificazione della montagna non ha più importanza».

È LA STRATEGIA dell’abbandono: sono passati ormai nove mesi dalla prima scossa, e ancora nessuno è in grado di dire se e come si ricostruirà qualcosa. «È una situazione stagnante in cui non intendo più ritrovarmi né intendo far ritrovare i miei concittadini – chiude Rinaldi -, ma la mia battaglia per difendere i loro diritti e per cercare di aiutarli continuerà».

E, SE SULLA RICOSTRUZIONE è notte fonda, anche sul fronte delle casette non si vede un barlume di luce. I numeri che escono fuori dagli uffici sono inquietanti. Su 3.497 casette ordinate, attualmente quelle che risultano occupate sono appena 98, tutte tra Amatrice e Norcia. Ce ne sarebbero altre 26 pronte a Pescara del Tronto, ma nessuno è ancora riuscito a entrarci. La situazione peggiore è quella delle Marche, in cui il numero di casette abitate è tondo: zero, contro 5.040 persone che dovranno andare ad abitarle in un’area di 28 comuni, più o meno danneggiati dal sisma. Il cronoprogramma della Regione fissa scadenze diverse: si va dall’estate per i paesi dell’ascolano al mese di ottobre per il maceratese, ma ancora non sono partiti nemmeno i lavori di urbanizzazione, cioè le aree dove dovranno essere messe queste abitazioni provvisorie non esistono. E pensare che lo scorso settembre, il commissario alla ricostruzione Vasco Errani aveva detto che entro la primavera tutti sarebbero tornati nei propri paesi: operazione fallita. Non ci sono piani precisi nemmeno sul dove sistemare gli sfollati durante la stagione estiva: gli alberghi della costa che li ospitano da mesi continuano a fare pressioni per liberare le stanze in attesa dei turisti, e negli uffici della Regione Marche nessuno sa bene come comportarsi. Un’idea è quella di utilizzare i mille immobili rimasti invenduti dall’Erap, ma si tratterebbe di una soluzione difficile da digerire, anche perché queste case si trovano spesso a distanze siderali dai paesi di provenienza degli sfollati.