La differenza tra «noi» e «loro» è quella che passa tra chi dopo la guerra, cioè dopo aver compiuto il proprio dovere, vuole tornare a casa dalla propria famiglia e chi invece, con una missione suicida, non pensa proprio a riappropriarsi della vita quotidiana. Questo è il pensiero del capitano Charles McVay (Nicolas Cage), espresso tramite una lettera scritta alla moglie. Una testimonianza posta all’inizio del film di Mario Van Peebles, USS Indianapolis, che accosta una semplificazione di un recente passato al becero immaginario del nostro contemporaneo, ossia quello nel quale si ribadisce la differenza «morale» tra chi la morte la dà a fin di bene e chi la distribuisce in modo indiscriminato con lo scopo di propagarla ovunque.

 

 

Siamo, nel film, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando gli Stati Uniti decisero che prima di tornare a casa da mogli e figli e nei supermercati a fare ricche spese, fosse il caso di sganciare un paio di bombe atomiche su due città giapponesi. Tanto con i loro attacchi da kamikaze, a cosa gli serviva un luogo dove ricominciare a vivere e uno spazio intatto dedicato alla condivisione?

 

 

Dopo tante vittoriose missioni nel Pacifico, l’equipaggio dell’incrociatore USS Indianapolis, costruito per andare veloce ma dalla struttura fragile, deve trasportare segretamente, senza scorta e in totale balia degli attacchi dei sottomarini, la bomba atomica destinata a esplodere a Hiroshima. Tutto fila liscio fino alla consegna del «pacco». Poi al ritorno, ancora senza scorta, l’incrociatore è intercettato da un sottomarino e affondato.

 

 

Inizia, così, un’altra storia che eclissa il disastro maggiore. Hiroshima e Nagasaki non sono nemmeno sullo sfondo. A conquistarsi il ruolo di protagonista sono i marinai letteralmente abbandonati al loro destino e, soprattutto, gli squali che attaccano e si nutrono delle carni dei superstiti. La missione era segreta e tale doveva rimanere. L’opinione pubblica non doveva conoscere i fatti legati all’incrociatore USS Indianapolis.

 

 

Oltre la tragica vicenda che alla fine ha avuto un triste esito per il capitano McVay in un’aula di tribunale, sarebbe opportuno interrogarsi sul senso di una riflessione sulla guerra e sulle devastazioni che produce, rappresentata all’interno di una narrativa degna di Sharknado. E poi cosa c’è di spettacolare e retorico in una missione che partecipò alla distruzione di Hiroshima?