Sembra un rilancio dei reportage di Walter Benjamin questo nuovo titolo di Gianfranco Marrone per Mimesis: Figure di città, come il filosofo aveva Immagini di città che visitava. Il calco cela però un divario. Una città non si riduce ai ricordi visivi del filosofo di passaggio – «immagini»; è l’insieme delle forze sociali che la costituiscono e modificano – «figure». Il figurativo di ogni città porta in superficie i suoi tratti profondi, tematici e ideologici. Dio, per confondere le lingue, distrugge la Torre, quando una sola lingua si parlava già. Una città unica, perfetta, gli appare impossibile ancor più dell’esistenza di un’unica lingua. Entrambe perderebbero la loro tempra viva, «dedalo di stradine e di piazze, di case con parti aggiunte in tempi diversi». «Quante case e strade ci vogliono – si chiede Wittgenstein paragonando il linguaggio allo spazio urbano – perché una città cominci a essere una città?». Di qui l’impasse degli progettisti: devono ogni volta aggiustare l’icona del territorio, rappresentativa, alle alterazioni del suo uso, abuso e disuso. Incontrano diagrammi e non mappe.

Figure di città vuol dire allora, nell’approccio di Marrone, dispositivi dove si cuce il rapporto fra pratiche dei luoghi e loro significazione. Testi, respingendo una volta per tutte la riduzione del concetto all’opera letteraria. Tessuti di esperienze carichi di teoria, la cui analisi sostituisce il racconto per suggestioni e flussi di pensiero. I casi scelti sono eterogenei: un cartone animato, un annuncio pubblicitario, una campagna politica, una novella, un film, lo smartphone, un villaggio turistico, l’identità di Palermo e il progetto di Italo Rota per il Foro Italico. Li accomuna la focalizzazione su uno spazio mai contenitore o sfondo scenografico, ma entità agente che muta nel tempo con chi vi si sposta (De Certeau). Il camminarvi dentro è fondamentale: enunciazioni pedonali e retoriche podistiche danno adito a prassemi – habitus in via di codificazione – che cambiano i sensi delle città.

Un episodio del cartone Disney Motormania (1950) accentua, con la schize di Pippo – Walker da «pedomobile», Wheeler da automobilista (nomen omen!) – la corporeità ibrida dell’uomo su strada, umana/non umana, e la prevalenza di conflitti pragmatici e passionali fra guidatori, pedoni e tecnologie di circolazione. Si lega a questi comportamenti lo spot della Renault Sport Clio RS200cv, censurato dal Giurì nel 2006. Il discorso di marca pubblicizza la cattiva condotta in un centro abitato. La scena dell’auto che polverizza un dosso artificiale, inneggia ai superpoteri dell’uomo-macchina contro ogni divieto. Una liceità da evitare, anche per l’incidenza dell’affissione di questi annunci in città.

Sulla segnaletica promozionale Marrone riflette a proposito della campagna Nuova Palermo. A fine 2006 il capoluogo siciliano è invaso da manifesti che ne notiziano la rinascita, con titoli tratti da testate giornalistiche, come in un classico trailer, e il logo dell’amministrazione comunale. Un nemico mediatico diffonde una reputazione negativa sulla città e va perciò smentito, a servigio – si scoprirà poi – della propaganda elettorale per la nomina del sindaco. Ma la campagna non calcola il peso di un terzo tipo di discorso sovrapposto ai livelli giornalistico e istituzionale: il discorso della città, cioè la relazione interoggettiva fra i manifesti e il paesaggio urbano. Edifici, strade, marciapiedi, muri, che inglobano le affissioni, funzionano letteralmente da «con-testo»: sono testimoni che resistono, obiettano (Lotman). Possono sgonfiarne l’euforia fino al parossismo – lo slogan «Palermo ti stupirà» sventola allo Zen. Altrove, nel Marcovaldo di Calvino per esempio, questa relazione è più pacifica. L’insegna al neon dello Spaak-Cognac, alienante per il personaggio, diventa poi occasione di visibilità dell’invisibile nel paesaggio urbano: la luna. Cultura e natura, bagliore intermittente dello Gnac e chiarore della luna, appaiono, anziché mondi contrari, opposizioni partecipative riparatorie di incompetenze della visione. Che l’esperienza stessa sia un testo da inventare lo dimostra il capitolo su The Terminal (2004) di Steven Spielberg. Victor Navorski, del fantastico paese di Krakhozia, sbarca al JFK di New York. Costretto a restarvi per ragioni politiche, dà forma allo spazio neutrale dell’aeroporto (materia indifferenziata) e lo rende il proprio ambiente. In barba all’idea snobistica del «non-luogo» come anonimato che l’individuo subisce. Oggi, peraltro, l’uso di Maps/street view di Google, del Gps e dei navigatori porta a interpretare localmente anche la nozione di «luogo», nelle tensioni fra nomadismo e territorializzazione. «L’uomo con l’i-phone – scrive Marrone – genera la città con l’i-phone», nelle direttive della sua percezione e della sua utilizzabilità. Smart cities, dove la presenza del soggetto coincide con le valenze dello spazio. Sorprende il successo dei villaggi vacanze? Il blasé, un tempo fenomeno psichico delle metropoli (Simmel), si è riversato in un modello di città che esime dall’esercizio dell’intelligenza. Turismo del grado zero del senso. Varcato l’ingresso, qui tutto è sotto controllo per garantire un corpo sociale privo di qualsiasi velleità.

Palermo torna protagonista in uno studio sincronico e diacronico dedicato. La sua identità negativa, il fatto cioè di caratterizzarsi perché né megalopoli né metropoli né piccola cittadina né una «città creativa europea» di media grandezza, spinge a intravedere per essa una logica di sviluppo «glocale». Nella quasi assoluta deregulation, con pochissimi interventi dall’alto e bricolage dal basso, spicca il ruolo di etnie straniere che, occupando siti vuoti, per la socializzazione, il lavoro e il tempo libero, hanno permesso ai palermitani di ritrovare il loro quid, benché diverso dal passato. Così, ironicamente, i vecchi mercati arabi del centro storico arabi lo sono di nuovo. E la riqualificazione del Foro Italico, istituzionale e urbanistica, dopo decenni di terrain vague, si deve agli immigrati che, sfruttando i margini di manovra del suo essere zona «bianca», l’hanno popolato e semantizzato. Volgiamo, come Goethe, verso una «Palermo felicissima»? Dipende, senza pregiudizi, dal far figura delle nostre città.