D’improvviso se ne sono accorti tutti, dopo i risultati delle primarie del Pd per il sindaco di Milano. Non c’è più una sinistra in scena, lo conferma il profilo indistinguibile dei candidati sindaco a Milano del Pd e del centrodestra, Giuseppe Sala e Stefano Parisi. E volenterosi i commentatori, tra giornali, social e talkshow, si precipitano ad analizzare l’ampio spazio lasciato vuoto dal Pd, e dalle sciagurate scelte della sinistra arancione. Per concludere desolati, che sì, lavoratori pensionati precari avrebbero bisogno di rappresentanza politica. Ma non c’è nulla di nuovo all’orizzonte.

Non è dalla favola del nuovo, questa postazione ambita da chi deve conquistare l’attenzione della narrazione mediatica, che viene una lettura capace di comprendere quello che avviene. Nuovo non è fare fuori i vecchi, in una coincidenza pseudo-naturalistica tra la freschezza delle idee e l’età anagrafica. Si rischia di non comprendere il nuovo che viene da Bernie Sanders, o Jeremy Corbin, in scenari dove tutto sembrava già capito, per questo classificati come nuovissimi negli schemi delle élite internazionali. Non afferrare perché questi anziani politici viene attribuita la definizione che è stata affibbiata al giovane Pablo Iglesias: antisistema. Una parola-sintomo, che rivela ciò che si teme. Che si butti all’aria il sistema.

E se torniamo in Italia, l’accusa di essere vecchi, non è quella più frequente tra i pezzi sparsi di sinistra? Lo dico subito, sono in parte in causa. Ho dedicato tempo a cercare di creare uno spazio in cui stessero insieme forze politiche che, come si è constatato con la rottura del tavolo, non possono e non vogliono stare insieme, preferiscono organizzarsi in proprio. Ma non scrivo per recriminare, anche se è evidente che la separazione mina fortemente la credibilità . Nei confronti degli elettori, ma anche nei confronti degli attivisti. Che preferiscono rivolgere le loro energie, a cause più mobilitanti. A liste unitarie per le amministrative. E soprattutto alla battaglia per i referendum istituzionali e sociali. Punto cruciale, per ogni futuro scenario politico e sociale del Paese. Una battaglia che ha bisogno di vitalità, speranza, convinzione. Una battaglia da fare uniti, nella prospettiva più ampia possibile.

In questo fine settimana a Roma l’assemblea convocata dal documento «La sinistra di tutte e tutti» invita a un percorso per un nuovo soggetto politico. Un invito che ha senso, se dall’assemblea si aprirà un processo dalle molte tappe, che arrivi a fine anno al congresso che fonderà il nuovo partito, nell’apertura, non nella chiusura. Senza dare per scontate fin da ora future alleanze elettorali tra parti diverse. È da tempo che gli elettori hanno indicato che non amano i cartelli elettorali, come si è visto nei fallimenti precedenti, a partire dalla sinistra arcobaleno. Questo insegna il successo modesto, ma finora unico dopo una serie di sconfitte, dell’Altra Europa con Tsipras. Una vera esperienza unitaria, che andava oltre le sigle. E lo dico ben consapevole dei problemi successivi, e della delusione che hanno seminato.

Per questo sono convinta che il processo costituente per il nuovo soggetto non possa che essere unico, che va lasciato alla responsabilità di ciascuno il tenersene fuori, senza esclusioni preventive. Per questo mi auguro che al centro dell’assemblea, e di tutto il processo, ci sia la politica, e non le pur necessarie preoccupazioni organizzative. Il campo delle opzioni è ampio, tra partecipa. C’è perfino chi immagina il futuro come un ritorno all’Ulivo. Lo confesso, è una discussione che non mi appassiona, questa sì la trovo molto vecchia. E con me credo che appassioni ben pochi. E pochissime. Non c’è nulla di più vecchio del gioco dei posizionamenti.

È stato un inizio di anno drammatico, in Italia e in Europa. Le banche rischiano di crollare, insieme all’intero sistema, mentre si chiudono ovunque le frontiere. I migranti, da fenomeno stagionale, su cui commuoversi solo d’estate, continuano ad arrivare in massa e si comincia a capire che non ci lasceranno più. Dopo gli attentati di Parigi che hanno spinto la Francia, la culla della democrazia occidentale, a cambiare la Costituzione, il terrorista cambia volto e si manifesta come molestatore, nella piazza di Colonia. Solo le femministe, tenute ai margini della scena politica, alzano la voce per spiegare che non c’è un’esclusiva musulmana della violenza maschile, e non si arruolano nell’isteria collettiva. La sinistra è afasica, mentre le destre più reazionarie non hanno paura di parlare. Per questo è necessaria la politica, la capacità di trovare una parola che dia un senso condiviso ai fatti, indichi una possibilità di cambiamento, che non sia una resa. Per questo mi auguro che nell’assemblea si abbandoni il risiko delle combinazioni. E si apra la strada a cercare una propria forza. Non dei numeri, non solo. Di una visione.