L’annuncio potrebbe avvenire oggi o domani, durante la 56esima Conferenza di Monaco sulle politiche della sicurezza: Talebani e americani hanno trovato un’intesa per una tregua in Afghanistan di sette giorni, preliminare alla firma dell’accordo vero e proprio.

I comunicati parleranno forse di «una riduzione molto significativa» delle attività militari, ma i Talebani, gli americani e le forze di sicurezza afghane deporranno le armi per una settimana. Se la tregua reggerà, ci sarà la firma dell’accordo vero e proprio tra Stati uniti e Talebani, che prevede il ritiro delle truppe straniere (qualcuno dice entro due anni).

Entro 10 giorni dalla firma, è previsto l’inizio del ben più complicato dialogo tra i Talebani e i rappresentanti del governo e della società afghana. C’è perfino chi fornisce date sicure: il 29 febbraio la firma a Doha, in Qatar, dell’accordo tra Talebani e americani, il 10 marzo l’inizio del dialogo intra-afghano. Ma la prudenza è d’obbligo.

La “tregua” è l’esito di un lungo e tormentato processo diplomatico. Ripreso a fine novembre 2019, quando il presidente Usa Trump, in una visita inaspettata ai soldati americani della base afghana di Bagram, ha dato il via libera al negoziato dopo averlo interrotto bruscamente due mesi prima, quando la firma dell’accordo sembrava imminente.

Da novembre, il suo inviato Zalmay Khalilzad ha ripreso i colloqui con la delegazione talebana guidata da mullah Abdul Ghani Baradar, uomo della vecchia guarda, liberato dalle carceri pachistane per favorire il negoziato. Lo stop tra settembre e novembre ha rafforzato il governo di Kabul che, pur escluso dai colloqui, ha chiesto con insistenza un cessate il fuoco, come segno della reale volontà dei Talebani di negoziare la pace.

Pur indebolito dalle polemiche successive alle elezioni presidenziali di fine settembre 2019, contestate e dall’esito ancora incerto, Ghani ha tenuto il punto e oggi incassa: la riduzione della violenza è un cessate il fuoco presentato con un termine diverso per ragioni diplomatiche, ma la sostanza politica c’è.

Con la firma dell’accordo di pace vero e proprio, i Talebani vedrebbero soddisfatta la loro richiesta principale – il ritiro delle truppe straniere – e tornerebbero al potere. Condiviso, stavolta.

La vera partita futura si giocherà su questo: come condividere il potere. Il presidente Ghani vuole essere della partita. Ieri si è fatto fotografare con i rappresentanti della delegazione Usa: il segretario di Stato Pompeo, il segretario alla Difesa Esper – che già giovedì, a Bruxelles, aveva riferito della tregua con i Talebani -, il generale Miller, a capo delle truppe americane e Nato in Afghanistan (con il segretario generale Stoltenberg che si dice d’accordo con Washington).

Il 4 febbraio, nel discorso sullo stato dell’Unione, Trump aveva rivendicato «l’impegno per riportare i nostri ragazzi a casa». Due giorni fa ha dichiarato invece che «c’è una buona probabilità che avremo un accordo. Si vedrà nelle prossime due settimane».