La giornata siriana di ieri ha visto l’Isis all’attacco di Aleppo. Gli uomini del Califfato avrebbero ucciso, pare, un generale iraniano, mentre la Russia ha reso noto di continuare, come previsto, i raid contro le posizioni islamiste. Gli Usa, oltre a tuonare contro Mosca, hanno invece annunciato una sorta di ritiro del piano di addestramento dei «ribelli siriani».

L’ennesimo segnale del «fallimento» – come scrive il Guardian – della politica occidentale in Siria: gli Stati uniti, secondo indiscrezioni pubblicate dal New York Times, a seguito dell’incontro del capo del Pentagono, Ashton Carter, con il ministro della difesa britannico Michael Fallon a Londra, avrebbero deciso di tagliare il budget di 500 milioni di dollari previsto per l’addestramento dei «ribelli moderati» in funzione anti Assad. Un programma che aveva dato risultati ben poco importanti, se si pensa che Washington aveva ammesso di avere solo «quattro o cinque» miliziani attivi. Ancora più rilevante il cambio di rotta se si ricorda che fino a pochi giorni fa gli Stati uniti avevano accusato la Russia di bombardare i propri miliziani (quei famosi quattro o cinque, dunque) anziché le postazione dell’Isis.

Nel frattempo si è appreso che nelle ultime 24 ore, i caccia russi avrebbero condotto 67 raid, colpendo 60 obiettivi. Secondo Mosca sarebbero stati uccisi 300 militanti, tra cui due comandanti dello Stato islamico. Per il vice capo dello Stato maggiore, generale Igor Makuskev, «tra gli obiettivi colpiti i sono centri per la comunicazione, posti di comando, depositi di carburante e basi di addestramento per i terroristi situati a Raqqa, Latakia, Idlib, Aleppo e Hama».

Non è ancora invece chiaro quanto accaduto nella giornata di lunedì, quando – secondo fonti Usa – alcuni missili russi lanciati dalle basi del Mar Caspio sarebbero caduti in territorio iraniano. Mosca non ha né confermato né smentito. Ieri il segretario di Stato alla difesa americano ha insistito sul fatto che quattro missili da crociera russi diretti in Siria sono caduti «per un malfunzionamento» in territorio iraniano. Carter e il suo omologo britannico hanno inoltre ribadito le critiche all’«illogico» intervento di Mosca in Medio Oriente, che «peggiora una situazione già grave».

Ma lo scenario per chi ha le idee poche chiare – al contrario del cinismo e della determinazione di Putin – non è per niente roseo, se è vero che ieri pure la Turchia ha rimarcato una sua posizione riguardo la possibilità che la Nato intervenga in sua difesa, di fronte allo sconfinamento aereo di Mosca. Ankara – ha detto il portavoce del ministero degli Esteri di Ankara, Tanju Bilgic, citato dal quotidiano Hurriyet – non ha richiesto alla Nato di inviare forze militari nel suo territorio. Il ministro avrebbe inoltre precisato che «comunque prosegue il dialogo con l’Alleanza sul rafforzamento dei suoi sistemi di difesa».

La Turchia – inoltre – ha fatto sapere di essere preoccupata per l’arrivo di una possibile nuova ondata di profughi siriani nel suo territorio a causa dei bombardamenti russi nel paese. Nei giorni scorsi il governo turco aveva lanciato l’allarme sul possibile arrivo di oltre un milione di nuovi profughi per l’instabilità causata dai raid di Mosca in zone densamente popolate.

Infine, ieri i Guardiani della Rivoluzione iraniani hanno confermato la notizia dell’uccisione in Siria del loro generale Hussein Hamdani, anticipata dalla tv al-Mayadeen. In un comunicato rilanciato da Press Tv, è stato precisato che Hamdani è stato ucciso dai terroristi del sedicente Stato islamico (Is) mercoledì notte, durante una «missione di consulenza» contro il terrorismo nei sobborghi di Aleppo, benché non si abbiano conferme ufficiali, così come l’Isis – per ora – non ha rivendicato l’uccisione.