Sarebbe dovuta essere la prima vittoria bipartisan di Biden, invece il voto sul piano infrastrutture al Congresso si è trasformato in uno «stallo» che ha visto sui versanti opposti l’ala moderata e quella progressista dello stesso partito democratico. Per questo giovedì notte la presidente della Camera Nancy Pelosi ha dovuto rimandare il voto sul piano a ieri, quando le trattative fra diverse fazioni si sono risolte ancora, all’ora in cui scriviamo, in un nulla di fatto – e motivo per il quale Biden era atteso ieri per un incontro con i dem della Camera per cercare di «ricomporre» lo scontro. Con una previsione di spesa di 1000 miliardi di dollari, l’infrastructure Bill prevede sostanziosi investimenti sul sistema ferroviario, strade, ponti, ma anche per ampliare l’accesso ad internet e la rete elettrica funzionale ad accelerare la transizione ecologica.

IL PIANO per le infrastrutture in sé – mediato con i repubblicani dall’ala moderata dei senatori dem – non è l’oggetto dell’opposizione dei democratici «radicali», ma è diventato la «moneta di scambio» per far passare il pacchetto di investimenti sullo stato sociale – finanziato principalmente con un aumento delle tasse alle corporation e agli americani più ricchi – che è la bandiera dell’ala del partito guidata idealmente da Bernie Sanders: 3.500 miliardi di dollari da destinare all’espansione della copertura sanitaria fornita da Medicare, alla scuola, ai lavoratori per finanziare il congedo familiare e per malattia, e per combattere il cambiamento climatico. I dem moderati hanno fatto trapelare la loro contrarietà e indisponibilità a votare una spesa così alta per il pacchetto «sociale», che secondo loro potrebbe tranquillamente limitarsi a 1500 miliardi di dollari – e naturalmente guai a toccare le tasse dei più ricchi. Ma questo «significherebbe decimare dei programmi vitali per le famiglie lavoratrici. Non potremmo fare ciò che occorre per i bambini e gli anziani», ha detto Sanders al Washington Post. «In ballo c’è il pianeta stesso. Abbiamo 4 o 5 anni prima che il danno (al clima, ndr) diventi irreparabile, e chiaramente 1500 miliardi non ci consentirebbero di fare ciò che è necessario».

LO STALLO CONTINUA, il terreno dello scontro resta il piano per le infrastrutture, ma Biden riesce perlomeno a sventare lo shutdown del governo federale – che in epoca Trump (fra il 2018 e il 2019) era stato il più lungo che la storia Usa ricordi: 35 giorni in cui i dipendenti dello Stato non hanno percepito lo stipendio per l’impossibilità, al Congresso, di trovare un accordo sul capitolo di spesa per finanziare le strutture federali, dovuta all’opposizione dei dem alla decisione repubblicana di togliere le tutele ai Dreamers (i figli di migranti nati in Usa). Giovedì notte, all’ultimo secondo, Biden ha invece evitato lo shutdown firmando un piano di spese temporaneo che copre i finanziamenti federali fino al 3 dicembre dopo che la legge è passata sia alla Camera che in Senato, dove è stata difesa dall’emendamento proposto dal senatore repubblicano dell’Arkansas Tom Cotton, intenzionato a tagliare i fondi destinati ai rifugiati afghani. Lo spending Bill prevede infatti anche 6,3 miliardi di dollari per il loro inserimento e 28,6 miliardi per la ricostruzione nelle aree colpite da disastri naturali come l’uragano Ida o gli incendi della California.