La Corea del Nord e il suo recente test missilistico intercontinentale hanno dimostrato la volatilità di certe «amicizie», specie se c’è in ballo una persona imprevedibile come Donald Trump. Fino a due settimane fa la Cina, secondo la Casa bianca, stava facendo tutti gli sforzi necessari per riportare alla calma il giovane leader nord coreano Kim Jong-un. Xi Jinping era un «good guy» e nonostante i muscoli che gli Usa continuavano a mostrare nell’area, il pallino era affidato a Pechino.

DA IERI, dopo il lancio del missile da parte di Pyongyang, non solo le azioni della Cina avrebbero «frustrato» il presidente americano ma addirittura Trump ha esplicitamente denunciato Pechino perché continuerebbe a fare affari con la Corea del Nord, nonostante le sanzioni dell’Onu.

UN’ACCUSA che rappresenta una scoperta piuttosto tardiva: già nei giorni caldi della crisi coreana erano spuntate immagini di camion cinesi che portavano benzina in Corea del Nord. Pechino lo aveva detto chiaramente: lavoriamo a una soluzione, non ad affossare la leadership, perché un crollo eventuale di Kim porterebbe a conseguenze rischiose per la Cina stessa. Certo non come un eventuale conflitto che da ieri è diventato meno improbabile, almeno stando alle parole di Rex Tillerson, il segretario di stato Usa. Washington invoca «un’azionale globale» contro la minaccia nord coreana e ha provveduto a esercitazioni militari con Seul.

LA VERITÀ, però, l’ha raccontata il New York Times: il quotidiano ha spiegato ogni circostanza, devastante che potrebbe crearsi a seguito di un intervento militare, anche di tipo chirurgico.
E nonostante il Thaad – in quel caso – a rischiare più di tutti nell’immediato sarebbero proprio i sudcoreani.