Il prossimo scontro politico annunciato a Washington è quello sull’immigrazione e su una riforma presumibilmente in grado di normalizzare la questione dei 12 milioni e passa di immigrati “indocumentati” che risiedono illegalmente negli Stati uniti. È noto che il vasto bacino di “clandestini”, gran parte ispanici giunti scavalcando il confine messicano, è un essenziale supporto low-cost per le economie di interi stati come California,Texas, New York e Illinois oltre che le regioni agricole e le economie di servizio dell’intero paese.
In realtà, la volontà di riforma improvvisamente esibita anche dai repubblicani ha meno a che vedere con l’impulso umanitario verso una popolazione puntualmente sfruttata che con il fatto che gli ispanici “legali” o meno, sono la minoranza etnica in maggiore crescita nel “crogiolo” americano.

In molte regioni ormai la “minority” in realtà è ormai una maggioranza, vedi Los Angeles e parti di New Mexico, Arizona e Texas. E con i numeri cresce inevitabilmente il peso politico, soprattutto nel panorama post-obamiano in cui una coalizione giovane e multietnica, cresciuta col concetto acquisito di un’America multirazziale e multiculturale, costituisce una forza politicamente imbattibile dalle vecchie alleanze di potere.
Un teorema che spiega l’improvvisa foga con cui i repubblicani si stanno adoperando per sostenere la riforma (4 degli 8 senatori che sponsorizzano il disegno di legge sono repubblicani). L’anno scorso solo il 26% dei voti ispanici è andato a Mitt Romney e la tradizionale retorica anti immigrati del partito in pratica assicura che difficilmente la percentuale cambierà, da cui l’idea di generare consensi mostrandosi meno ostili agli elettori di cui il Gop ha disperatmente bisogno.
La repentina conversione sulla via di Damasco di un partito congenitamente xenofobo è uno spettacolo singolare come anche la facilità con cui molti novelli paladini della riforma ammettono il loro disegno politico. «Se questa riforma non passasse, il partito repubblicano sarebbe condannato a decenni di sconfitte», ha detto il senatore Lindsay Graham, evidentemente convinto che l’ammissione di un disegno puramente strumentale sia in qualche modo la migliore strategia per guadagnare il favore di nuovi potenziali elettori.

All’interno del partito il sentimento però è tutt’altro che unanime e sull’immigrazione i repubblicani rischiano la spaccatura fra pragmatici e gli integralisti per cui è troppo difficile abbandonare la demagogia populista antistraniero che per anni ha caratterizzato la politica repubblicana.
La proposta di legge che prevede la pratica di cittadinanza per i clandestini a fronte di una serie di requisiti (penali, tasse, liste d’attesa, ecc.) verrà probabilmente approvata dal senato ma molto meno probabile è il passaggio alla Camera, controllata dai falchi e Tea Party, che malgrado le deportazioni record attuate da Obama, esigono un aleatorio «controllo totale» delle frontiere.
Per ora hanno ottenuto il distaccamento di 20mila nuovi agenti di frontiera – abbastanza per stanziarne uno ogni 150 metri per l’intera lunghezza del confine, dal Golfo del Messico al Pacifico – per rendere più costante la sorveglianza aerea con droni. Una assurda ulteriore militarizzazione di un confine sempre più blindato e mortale, che fa centinaia di vittime ogni anno fra i disperati costretti ad attraversamenti sempre più spericolati di remote zone desertiche. Segno sicuro che la demagogia occidentale sull’immigrazione è dura a morire.