Mark Naison insegna African American Studies e storia alla Fordham University di New York. È un prof bianco che fa rap ed è appassionato di insegnamento. Da anni è impegnato nella campagna della Badass Teachers Association, un’organizzazione nazionale nata nel 2003 per fare voce agli insegnanti stanchi di essere trattati da capro espiatorio dei problemi dell’istruzione pubblica. A Mark racconto cosa sta accadendo agli insegnanti italiani con la «Buona Scuola» di Renzi; esodi forzati da Sud a Nord per quelli della primaria, poteri manageriali ai presidi, stipendi bassi, precariato e burocratizzazione dell’insegnamento.

«È davvero inquietante apprendere che in Italia ci sono gli stessi attacchi contro i docenti della scuola pubblica che ci sono stati negli ultimi 20 anni negli Stati Uniti – risponde – Nel mio paese questi attacchi sono bipartisan, sostenuti sia dai democratici che dai repubblicani. Sono diventati ancora più aggressivi sotto Barack Obama, non c’è molta differenza rispetto agli anni di George Bush. Sono stati promossi in maniera entusiasta dalle fondazioni e dalle organizzazione no-profit da alcune delle persone più ricche del pianeta: Bill Gates, Eli Broad, la famiglia Walton, Michael Bloomberg, oltre che dai nuovi miliardari nati nella finanza.

Come hanno reagito i docenti americani?
All’inizio sono stati colti di sorpresa dalla pura violenza di questo attacco. Negli ultimi otto anni hanno iniziato a combattere e la resistenza ha dato vita alla Save Our Schools Coalition, alla Badass Teachers Association, United Opt Out e al Network for Public Education. Senza contare gli innumerevoli gruppi di resistenza locale. Ma l’enorme quantità di denaro e la forza politica muscolare di cui dispongono i presunti «riformatori» della scuola rendono difficile la resistenza. I «Riformatori» hanno cooptato il linguaggio della giustizia sociale e dei diritti civili per giustificare le politiche che aumentano la didattica per quiz e riduce l’autonomia e il potere dei docenti. Arrivano a sostenere che la persistenza delle diseguaglianze economiche e razziali è «colpa» dei docenti egoisti e cattivi.

Perché l’approccio basato sui dati che svaluta gli insegnanti ha guadagnato così tanto spazio nelle politiche educative?
Da un lato, per un mero interesse economico. Il mercato dell’educazione negli Stati Uniti è enorme, il fatturato supera i 600 miliardi di dollari. Ridurre questo mercato agli investimenti privati è una tentazione irresistibile per le élite economiche che hanno visto nel mercato interno un’occasione per uscire dalle secche create dalla crisi finanziaria globale. Investono nei test, nei loro software, nelle imprese di consulenza educativa, in nuove scuole private che nascono quando quelle pubbliche vengono chiuse. Questi gruppi hanno usato la loro ricchezza per ottenere un’influenza politica a livello locale e nazionale contribuendo alle campagne di candidati che appoggiano le politiche di riforma della scuola. Esistono casi in cui persone spendono milioni di dollari nelle elezioni locali per far vincere i loro candidati non solo a sindaco, o a Washington, ma nei board delle scuole. Il denaro e il profitto sono le potenze che ispirano le politiche educative.

Perché funzionari pubblici eletti sostengono una tattica che atomizza gli studenti e stessa la scuola?
L’incentivo è il taglio dei costi della scuola pubblica. Fare a meno dei docenti esperti permette non solo di tagliare i costi diretti, ma le pensioni. Loro credono che queste politiche servano alla carriera politica. È una combinazione di fattori difficile da combattere perché la maggioranza è corrotta. Ci vogliono molto tempo e grandi sforzi per eleggere sindaci, governatori favorevoli all’istruzione pubblica. Sta accadendo, ma molto lentamente. Noi siamo ancora all’inizio, loro lo stanno facendo da 20 anni.

Quali strategie di difesa avete adottato?
L’unica tattica efficace è organizzare i genitori e gli studenti che rifiutano di fare i test, i vostri quiz Invalsi. Negli Stati Uniti esiste un sistema che costringe studenti e docenti a livelli di stress intollerabili e annienta le attività molto amate come la musica, l’arte, lo sport, le gite scolastiche e i progetti speciali che coinvolgono ricercatori storici e scientifici. Questo movimento si chiama «Opt Out Movement», lavora soprattutto nello Stato di New York dove il 22% degli studenti si è rifiutata di sottoporsi ai test l’anno scorso. Il movimento è riuscito ad ottenere la riduzione dei test per la valutazione dei docenti e potrebbe anche ottenere la riduzione delle scuole private e un ritorno a quelle pubbliche. L’approccio all’istruzione dev’essere integrato e globale, permettere di creare relazioni tra studenti e docenti, non obbligarli a rispondere a test. Il movimento è partito dalle comunità della classe media e si sta allargando a quelle della classe lavoratrice. Sta mettendo i «Riformatori» sulla difensiva perché evoca un’immagine potente di quello che la scuola dovrebbe fare: nutrire gli studenti e la pratica della democrazia reale. Non voglio essere troppo ottimista, il movimento rischia di essere raggirato. Comunque insegnanti e genitori non sono stupidi e continueranno a battersi.

I movimenti

Fra le organizzazioni di attivisti c’è Badass Teachers Association (Bat), fondata il 14 giugno 2013, Priscilla Sanstead e da Mark D. Naison (che però ne è uscito nel 2014). La «mission» di questa associazione è dare voce ai docenti che si rifiutano di accettare valutazioni e test che vengono dall’alto e aumentare l’autonomia dell’insegnamento, includendo le famiglie in campo legislativo ed educativo rispetto alla scuola. Il Badass Teachers Association può contare su una vasta piattaforma di social media (Facebook, Twitter, sito web, blog), sui quali organizza conferenze e lancia campagne di protesta. Network for Public Education è un’altra «rete» attivista, fondata da Diane Ravitch e Anthony Cody nel 2013. Il suo obiettivo è promuovere l’istruzione pubblica e salvaguardarla per le generazioni future, chiamando alla collaborazione studenti, docenti, genitori e cittadini.