Mentre tutti gli occhi sono puntati sullo studio ovale, il destino politico del prossimo inquilino di quell’ufficio è legato in gran parte a ciò che avverrà martedì in altre 469 elezioni: quelle per i rappresentanti di 435  distretti congressuali e 34 seggi in senato.

Alla camera si prevede una modesta avanzata dei democratici ma non certo sufficiente a modificare il rapporto di forza che attualmente favorisce i repubblicani per 246-186 seggi. Il senato rappresenta la miglior opportunità dei democratici di riconquistare una camera del parlamento. Dei 34 stati in palio, 11 hanno elezioni «competitive» e di questi 10 rappresentano seggi attualmente repubblicani. Nelle ultime settimane le previsioni si sono alternate fra una riconquista democratica e una tenuta repubblicana che pur perdendo rispetto all’attuale maggioranza di 54-45 senatori, mantengono la maggioranza.

È possibile anche una risultato di parità 50-50 col voto decisivo rappresentato dal prossimo vicepresidente. A rischio per i democratici c’è il seggio di Harry Reid, ex leader della minoranza; il suo seggio del Nevada è conteso in un testa a testa fra la democratica Catherine Masto e il repubblicano Joe Heck.

I repubblicani potrebbero avere una brutta sorpresa se  John McCain, attualmente in vantaggio ma di misura in Arizona, dovesse perdere contro la sfidante democratica Ann Kirkpatrick.

Gli sviluppi nel congresso, in ogni eventualità, saranno determinanti. Se prevalesse Trump con una maggioranza in entrambe le camere avrebbe carta bianca per implementare un suo imprevedibile programma politico. Di contro per Hillary sarebbe cruciale poter contare su almeno un senato favorevole, Come ha dimostrato l’ultimo mandato di Obama se i repubblicani dovessero controllare il congresso, sarebbe assicurato, anzi già esplicitamente promesso dalla leadership repubblicana, l’ostruzionismo ad oltranza.