l 2017 negli Usa è cominciato con la più grande manifestazione della storia americana, la Women’s March, milioni di persone nelle strade statunitensi il giorno immediatamente successivo all’insediamento di Trump alla Casa bianca, al grido di Resist. E’ stato l’anno della resistenza americana, guidata dalle donne. le principali portavoce dell’opposizione a Trump e al suo programma omofobo, misogino, razzista e islamofobico.

Dalla ragazza che a Ferguson ha affrontato a fronte alta la polizia supermilitarizzata; ai cappellini rosa con le orecchie, simbolo della Women’s March, indossati fieramente da uomini di ogni età, consapevoli di dover – in questo momento storico – seguire e sostenere le proprie compagne; alle elettrici afroamericane a cui, in Alabama, si deve l’elezione del primo senatore democratico da decenni; fino al movimento di #metoo, che ha trovato lo spazio e il terreno per poter finalmente alzare la voce contro le molestie e i ricatti sessuali che, in ogni campo, le donne subiscono.

Non è un caso che l’icona di questa resistenza che si oppone capillarmente e quotidianamente all’agenda trumpiana sia il volto incorniciato da un hijab fatto con la bandiera americana e lo sguardo di sfida di Munira Ahmed, trentaduenne freelance del Queens, iconizzata da Shepard Fairey, l’artista noto per il suo ritratto di Barack Obama con la scritta Hope, speranza. Doveva essere l’anno del primo presidente donna e comunque lo è stato, anche se Hillary ha perso la Casa bianca (ma non il voto popolare, che ha vinto con 3 milioni di preferenze più di Trump): il simbolico tetto di vetro, oltre il quale le donne non riescono ad andare, è stato mandato in frantumi, un corteo e un’opposizione alla volta, da tutte le militanti americane, mai così visibili, mai così forti.