Studenti a casa, per colpa della pandemia. Lo sanno tutti. Ma anche studenti senza libri per colpa del copyright, dei signori del copyright. Una storia che va raccontata, allora. Viene dagli Stati Uniti, drammaticamente sono balzati in testa alle classifiche di vittime del Covid-19.

Qui – ma anche questo è noto -, con un colpevole ritardo, poco prima di metà marzo, sono state chiuse le scuole e le università. Prima lo Stato di New York poi via via gli altri. Milioni di ragazzi si sono trovati così a fare lezioni e a studiare in video-conferenze, come i loro coetanei in quasi tutto il mondo.

Emergenza, dunque. Con un problema in più: è stato calcolato – ma la ricerca è di qualche anno fa – che quasi un terzo degli studenti americani, le loro famiglie non possono permettersi di acquistare i libri richiesti dagli istituti. Così, molto più che in Italia, si ricorre ai prestiti nelle biblioteche. Che però sono state fra i primi uffici pubblici ad essere chiusi.

E si arriva al punto. Da anni è attivo sul Web, Internet Archive-IA. Non è un sito, è molto, molto di più. È un progetto, un movimento, una comunità di attivisti.

L’ha creato Brewster Lurton Kahle, un professore, un ingegnere che a raccontare il suo curriculum non sarebbero sufficienti dieci pagine. Basti ricordare che più di trent’anni fa, inventò un primo strumento di ricerca nella rete, il sistema Wais, che poi vendette ad Aol. Vendette profumatamente, per quindici milioni di dollari. Affari d’oro anche per l’altra sua società, la Alexa Internet, che fu ceduta ad Amazon, sul finire del secolo scorso.

Una storia come altre, quelle che piacciono alle pagine dei giornali mainstream che si occupano di “innovazione”. Con un finale diverso, però. O almeno apparentemente diverso: appena diventato ricco, Kahle s’è dedicato a tutt’altro. E ha creato Internet Archive. Che vuole essere un immenso, gigantesco data base – accessibile a tutti, gratuitamente – di tutto il materiale digitale esistente. Libri, film, immagini, musica. Impresa ciclopica.

Di più: attorno ad Internet Archive s’è aggregata una comunità di attivisti per i diritti digitali. Che, poco alla volta, ha ampliato i progetti. L’ultimo, varato poche settimane prima del coronavirus, si chiama Wayback Machine. Serve – come hanno spiegato bene nella campagna di lancio – ad evitare di incorrere nell’”errore 404”, quello in cui incappiamo quando davanti allo schermo talvolta ci appare la scritta: pagine non trovate.

Con uno strumento (di facilissima istallazione su ogni browser), Kahle e gli altri provano ad archiviare le varie versioni delle pagine Web. Ogni singolo aggiornamento di un sito che altrimenti andrebbe perso per sempre. Ogni indirizzo che potrebbe essere cancellato.

Internet Archive è tutto questo. Per dirne solo un’altra, ha reso disponibili centomila brani musicali, vecchi brani musicali che erano irreperibili sul mercato. Insomma, Kahle fa tante cose, è diventato membro della American Academy of Arts and Sciences, è nel consiglio di amministrazione della Electronic Frontier Foundation, è consulente del comitato che gestisce la Biblioteca del Congresso Usa.

E arriviamo a queste drammatiche giornate.

Appena scattate le chiusure di scuole ed uffici, Internet Archive ha allestito una struttura che si chiama Biblioteca Nazionale in Emergenza e ha messo a disposizione degli studenti un milione e quattrocentomila libri. In formato digitale. Ovviamente, tutto gratuito.

Levati cielo. Neanche ventiquattro ore dopo la decisione – salutata da migliaia di mail di ringraziamento – il leader della Copyright Alliance, Keith Kupferschmid se n’è uscito sostenendo che la decisione dell’Internet Archive era paragonabile “al saccheggio dei negozi durante un back down”. Li ha definiti criminali, si è avventurato in una graduatoria della solidarietà digitale (“Tim Cook, Elon Musk e Zuckerberg donano migliaia di dollari, Kahle regala le nostre royalties”) e annuncia ricorsi. Promette denunce. Processi.

Resta da dire – a parte l’orrenda immagine che regalerebbe di sé – che le eventuali denunce della Copyright Alleance avrebbero scarse probabilità di successo. Internet Archive, infatti, rispetta – più o meno – le norme previste da un protocollo che regola la distribuzione pubblica di libri digitali: c’è un meccanismo che ne impedisce la cessione a terzi, c’è un limite di due settimane per l’utilizzo (che comunque in questo periodo può essere prorogato più volte).

L’unica cosa che l’organizzazione di Kahle ha fatto in più è far saltare la “fila”: prima c’era un numero definito di copie digitali prodotte che potevano essere prestate. Chi chiedeva un testo doveva mettersi in coda. E aspettare. Ora non c’è più la fila.

Tanti hanno bisogno di un libro, a tutti verrà fornita una copia digitale. Fatta sul momento. Subito.

Almeno fino alla fine di giugno (per ora è prevista questa data). Quando forse il picco della pandemia in America potrà cominciare a scendere.

Difficile dire, invece, quando scemerà l’arroganza dei signori dei “tutti i diritti riservati”. Forse dipenderà da quante Internet Archive nasceranno nel resto del mondo.