Grazie Trump ‎«per il coraggioso passo contro l’ipocrisia e le bugie del cosiddetto ‎Consiglio dei diritti umani dell’Onu‎». Il governo israeliano di Benyamin ‎Netanyahu ringrazia il presidente americano per la decisione di far uscire gli Usa ‎dall’organismo delle Nazioni Unite annunciata martedì notte dal Segretario di stato ‎Mike Pompeo e dall’ambasciatrice Usa al Pazzo di vetro Nikki Haley. Ne ha tante ‎di ragioni Israele per ringraziare l’Amministrazione Trump impegnata in un’opera ‎costante di demolizione delle Nazioni unite e del diritto internazionale.

Dopo gli ‎attacchi alla funzione dell’Onu, il veto alla nomina di un palestinese (l’ex premier ‎dell’Anp Salam Fayyad) come inviato speciale per la Libia, l’uscita dall’Unesco in ‎appoggio alle posizioni israeliane, il riconoscimento unilaterale di Gerusalemme ‎come capitale di Israele, il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv nella ‎città santa e l’uscita degli Usa dall’accordo sul programma nucleare iraniano, ora ‎giunge questo nuovo “regalo”.

‎ Per qualcuno è altro schiaffo dell’Amministrazione Usa al sistema delle relazioni ‎internazionali, che siano organizzazioni o accordi non in linea con le priorità ‎americane. In questo caso, come in tutti quelli elecati prima, sul tavolo non ci sono ‎le priorità americane bensì quelle israeliane, a conferma della completa sintonia tra ‎Washington e Tel Aviv.‎‏ ‏‎«Invece che occuparsi dei regimi che violano i diritti ‎umani quel Consiglio si è ossessivamente fissato con Israele, unica vera ‎democrazia del Medio oriente‎‎», afferma Washington.

Sono le parole che hanno ‎usato i premier israeliani tutte le volte che il Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu ‎ha criticato o condannato lo Stato ebraico. Le violazioni che commette Israele, ‎viene ripetuto, sarebbero inesistenti o comunque insignificanti rispetto a quelle ‎che avvengono in altri paesi della regione, quindi il Consiglio dovrebbe occuparsi ‎solo di quelle.

‎ Colonizzazione di territori occupati militarmente, arresti arbitrari, detenzioni ‎senza processo, confisca di terre, demolizioni di case, blocco di Gaza, uso della ‎forza contro i civili palestinesi in corso da 51 anni a questa parte sono cose da ‎nulla per Pompeo e Haley. Per loro il Consiglio dell’Onu è ‎‎«la fogna della ‎faziosità politica‎‎». ‎«Prendiamo questa decisione perché il nostro impegno non ci ‎permette di continuare a far parte di un’organizzazione ipocrita e asservita ai ‎propri interessi che ha fatto dei diritti umani una barzelletta‎», ha proclamato ‎Haley.

La decisione era nell’aria da tempo, non è una sorpresa. Washington era già ‎uscita dal Consiglio per tre anni durante l’amministrazione di George W. Bush ma ‎era tornata a farne parte con Barack Obama. Gelida (e inutile) la reazione del ‎segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che si è limitato a fare sapere che ‎‎«avrebbe preferito che gli Stati Uniti rimanessero nel Consiglio‎», sottolineando ‎che ‎«l’architettura delle Nazioni Unite sui diritti umani svolge un ruolo molto ‎importante nella loro promozione e protezione in tutto il mondo‎».

‎ Nel frattempo la tensione resta alta lungo le linee tra Gaza e Israele. Netanyahu ‎ha avvertito che se i palestinesi invieranno ancora “palloni incendiari” da Gaza ‎verso il territorio israeliano ‎«Il pugno di ferro dell’esercito colpirà con ‎potenza…Siamo pronti ad ogni scenario ed è meglio che i nostri nemici lo ‎capiscano e subito‎». L’avvertimento è giunto dopo una nuova notte di lanci di ‎razzi palestinesi e di attacchi aerei israeliani (25 contro presunti obiettivi di ‎Hamas) che spingono Gaza verso un nuovo conflitto a quattro anni di distanza ‎dall’offensiva “Margine Protettivo”.

I media israeliani, aiutati da quelli europei e ‎americani, preparano l’opinione pubblica internazionale ignorando il blocco di ‎Gaza che dura da 12 anni e parlando solo di “guerra degli aquiloni” in riferimento ‎ai lanci dei palestinesi che hanno provocato incendi in alcuni campi coltivati oltre ‎le linee di demarcazione. Pochi ricordano che l’intera fascia agricola di Gaza a ‎ridosso di Israele da anni è quasi inaccessibile ai contadini palestinesi sui quali i ‎soldati non esitano ad aprire il fuoco quando si avvicinano “troppo” alle barriere ‎di separazione. ‎