Il primo passo è stato compiuto. Quello di affrontare insieme e con un dialogo «costruttivo» le basi per una «rotta» comune che porti al ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Usa e Cuba, annunciate lo scorso dicembre da Obama e Raúl Castro e che include l’apertura di ambasciate all’Avana e a Washington.

Nella seconda giornata delle conversazioni bilaterali è scesa direttamente in campo, per guidare la delegazione Usa, la sottosegretaria con delega per l’America latina, Roberta Jacobson, la quale ha affermato che il dialogo in corso «è positivo e produttivo» anche se tra i due paesi permangono «profonde differenze politiche». La Jacobson ha meso in luce che il processo appena iniziato «sarà lungo» e che l’apertura delle ambasciate rappresenta «solo un passo già deciso» e dunque che si attuerà non appena si raggiunga il «consenso comune»su una serie di misure pratiche. La viceministra ha affermato che si procede su questa strada anche se non si può stabilire una data di apertura delle ambasciate. Più complesso, ha detto la Jacobson, sarà il processo di delle relazioni diplomatiche, viste «le profonde differenze politiche» che permangono in temi di «importanza fondamentale», come il rispetto dei diritti umani e della democrazia.

Da parte cubana, ha affermato la capo delegazione dell’Avana Josefina Vidal, si è insistito che alla base di tale processo vi siano le norme del Diritto internazionale e della Convenzione di Vienna che stabiliscono, tra altri principi, il rispetto reciproco dei (diversi) sistemi economici e politici e la non ingerenza negli affari interni agli Stati. politici e «si accettino ingerenze esterne». In particolare – ha affermato – «è difficile» avere normali rapporti con gli Usa «mentre Cuba rimane nella lista dei paesi promotori del terrorismo» e per ristabilire relazioni diplomatiche «è fondamentale l’eliminazione dell’embargo» americano. «Dobbiamo imparare a convivere pacificamente nonostante le profonde differenze», ha concluso Vidal e dunque il dialogo andrà avanti, e la «settimana prossima verrà decisa la data di una nuova sessione di trattative». Confermata dunque la reciproca volontà di voltare pagina dopo più di 50 anni di guerra diplomatica, rimane però il problema di dare contenuti a questa «nuova era».

Ed è il compito affrontato ieri dalle due donne – l’americana Jacobson e la cubana Vidal- incaricate di delineare la «rotta» da seguire per passare dall’epoca del confronto (che per gli Usa voleva dire cambiare il governo a Cuba) a quella del dialogo come metodo per affrontare i contenziosi. A questo scopo, le conversazioni sono state divise in modo da affronatre due temi: la riapertura delle ambasciate come primo passo concreto (nella mattinata) e la delle relazioni tra Usa e Cuba (nel pomeriggio).

Nella prima parte, gli argomenti sul tavolo erano già stati individuati in precedenza, come ha messo in chiaro mercoledì del segretario di Stato Usa, John Kerry, il quale si è detto «pronto a recarsi a Cuba per inaugurare la nuova ambasciata». Ma prima –ha avvertito- «abbiamo bisogno di un mutuo consenso» su alcuni temi che sono stati appunto oggetto di discussione ieri: eliminazione del limite massimo del personale diplomatico, abolizione delle limitazione dei viaggi dei diplomatici, possibilità di rifornimenti che permettano all’ambasciata di funzionare correttamente, libero accesso dei cubani alla missione diplomatica Usa all’Avana.
Il secondo tema, quello della dei rapporti politici si presenta più complicato. Da parte cubana è stato più volte ripetuto che il processo sarà lungo e difficile, perché fino a quando rimane in vigore l’embargo economico e finanziario americano resta anche un clima di aggressività, oltre che di violazione delle leggi internazionali (l’embargo da vari anni è oggetto di netta condanna da parte delle Nazioni Unite). Fin da mercoledì la caponegoziatrice Vidal ha messo in chiaro che la legge migratoria come pure l’embargo sono leggi federali e che solo il Congresso –ostile alla Casa bianca – può cambiare. Ma che il presidente ha facoltà di decidere in materia di applicazione di tali leggi. Dunque può decidere di togliere Cuba dalla lista dei paesi che favoriscono il terrorismo, fatto che avrebbe sostanziali ripercussioni favorendo un aumento degli investimenti esteri di cui Cuba ha assoluta necessità per uscire dalla grave crisi economica. Da parte sua, per dare corpo alla richiesta fatta dal presidente Obama al Congresso Usa di mettere fine all’embargo, la Jacobson deve portare a casa oltre a misure pratiche in tema di ristabilimento delle relazioni diplomatiche anche qualche passo avanti o almeno qualche gesto simbolico in tema di rispetto dei diritti umani e di democrazia a Cuba.