Il Monument Valley Health Center di Oljato è quasi sicuramente l’ambulatorio con la vista più suggestiva al mondo. Il modesto edificio si trova vicino all’entrata settentrionale della Navajo reservation fra Mexican Hat e Kayenta, proprio sul confine fra  Utah e Arizona.

Dalle finestre che danno sulla terra rossa si vedono le mesa mozzafiato della Monument Valley, quelle superfotografate dal flusso continuo di turisti che normalmente affollano la piccolo strada che porta alla valle resa famosa dai western di John Ford.

Oggi la strada è deserta e l’unica piccola folla è quella nelle macchine in fila per il tampone. La piccola clinica è una della dozzina di strutture sanitarie che servono una popolazione di 350.000  Navajo (che tra loro si chiamano D’ineh, il popolo).

 

Interstate 163 Oljato-Monument Valley in Utah, deserta – foto Ap

 

Bellezza e povertà lancinanti sono la cifra della Navajo Nation, ma l’indigenza è il dato comune di tutte le riserve indiane su cui sono di fatto confinati i due milioni e mezzo di nativi che rimangono negli Stati uniti, prigionieri della miseria più abbietta in un paese dove certo la povertà non fa difetto in tutte le sue forme.

 

 

Il tasso disoccupazione sulla riserva Navajo (a cavallo fra Arizona, New Mexico e Utah) raggiungeva picchi del 50% anche prima del Covid. Ma allo sfacelo economico la pandemia ha aggiunto un dato macabro.

Nelle ultime settimane, nella riserva sono stati accertati 3.100 casi positivi e registrati oltre 100 decessi. In termini relativi, la Navajo Nation ha quindi un tasso di mortalità secondo solo a New York, New Jersey, Connecticut e Massachusetts.

In New Mexico i Navajo costituiscono l’1% della popolazione ma rappresentano il 57% dei casi nello stato, la proporzione è simile in Arizona.

 

La famiglia Charley nella sua casa (hogan) a Chilchinbeto, Ariz. – foto Ap

 

L’enorme riserva, grande più o meno come l’Irlanda (70.000 km2), non è certo densamente abitata e la maggior parte delle strade sono ancora sterrate. La gente abita in piccoli agglomerati remoti, case prefabbricate o roulotte isolati sul un altipiano in cui al 30% delle case manca l’acqua corrente.

Il Covid qui ha attecchito grazie soprattutto ad una riunione di clan avvenuta ad inizio marzo nella comunità rurale di Chilchimbeto, nell’angolo nordoccidentale della riserva. Dopo la cerimonia, le molte famiglie presenti hanno riportato il contagio nei rispettivi luoghi di residenza, piccole case dove spesso coabitano diverse generazioni.

Quando hanno cominciato a palesarsi i primi sintomi, le autorità ha imposto misure di distanziamento e coprifuoco, ma era già tardi.

 

Arcobaleno a Chilchinbeto, Ariz. – foto Ap

Gallup, la prima cittadina che si incontra uscendo dalla riserva lungo l’interstate 40 verso est, in New Mexico, suole riempirsi nei fine settimana di Navajo che spendono le buste paga nei bar e liquor store. I sabato sera innumerevoli uomini smaltiscono le sbornie sui marciapiede, l’immagine dello scempio provocato dall’alcolismo fra i nativi – e del cinismo degli spacci di alcol che regolarmente operano appena fuori delle maggiori riserve.

Con una popolazione di 22.000 persone, a Gallup si registravano a inizio maggio più di 1.500 casi di Covid, costringendo il sindaco e il governatore  ad imporre un rigido lockdown compreso un coprifuoco ogni giorno dalle 17 alle 8.

 

 

Tamponi per il Covid-19 – foto Ap

 

Sulla riserva la situazione è aggravata dalla scarsità di strutture e risorse che già in tempi normali somigliano a realtà sub sahariane. La situazione è aggravata inoltre dalla precarietà di una salute pubblica caratterizzata da asma, obesità e diabete endemici (e in terra D’ineh da patologie legate dalle scorie radioattive abbandonate dalle miniere di uranio).

 

 

Un contesto che mette la popolazione ulteriormente a rischio Covid e che spiega perché dalla settimana scorsa Médecins sans Frontières abbia inviato sul posto una squadra di medici, infermieri ed esperti di approvvigionamento idrico per assistere le operazioni. L’equipe della ONG assisterà le autorità locali ad alleviare le “significative disuguaglianze sanitarie.”

Un’altra squadra di medici ed infermieri volontari è giunta dall’università di San Francisco per prestare servizio alla clinica Navajo di Tuba City.

Nel piano di emergenza coronavirus di Washington intanto sono stati stanziati complessivamente $8 miliardi a favore delle nazioni indiane (invece dei $20 miliardi richiesti) da suddividersi fra le 573 tribù, ma la distribuzione che deve passare per la burocrazia notoriamente labirintica del Bureau of Indian Affairs è risultata inadeguata ed inefficiente. “Come al solito,” ha commentato Jonathan Nez presidente della Navajo nation, “gli indiani sono sempre gli ultimi della lista”.

La situazione è simile in molte altre regioni, dai Seminole della Florida ai Cherokee in Oklahoma agli Arapahoe in Idaho, dove i casinò tribali sono stati riadibiti a strutture di triage per malati di covid. Il gioco d’azzardo che a partire dagli anni ’90 era stato liberalizzato in terre tribali è divenuto negli ultimi decenni il pilastro dell’economia nativa.

In 30 anni 224 tribù hanno aperto più di 350 casinò i cui proventi hanno in molti casi alleviato la cronica povertà a cui erano stati condannati dal genocidio e dal confinamento. Ora hanno tutti cessato di operare, privando di lavoro 700.000 persone e prospettando il collasso di economie già precarie.

 

 

Il virus ha esacerbato anche altre antiche tensioni come in terra Sioux. Qui le riserve Oglala di Pine Ridge e Cheyenne River non sono ancora state contaminate e per evitarlo le autorità Sioux hanno istituito posti di blocco per impedire l’accesso ad estranei.

Ma la governatrice del South Dakota, la repubblicana Kristi Noem ha diffidato il leader tribali dall’impedire il transito attraverso le riserve, compresa Pine Ridge, già teatro della famigerata strage di Wounded Knee.

Julian Bear Runner, presidente Oglala ha dichiarato che la posizione della governatrice minaccia ancora una volta la sovranità dei popoli indiani.

 

 

Il South Dakota della trumpista Noem è uno degli stati a non avere mai imposto il lockdown pur registrando più di 3.500 casi di covid. “A casusa della mancanza di misure preventive esterne, gli Oglala hanno preso misure di ragionevole prudenza per proteggere la salute della nostra tribù”, ha detto Harold Frazier, chairman della clan di Cheyenne River, al quotidiano locale, Argus Leader.

“Noi Indiani non chiederemo scusa per tentare di rimanere un’isola di sicurezza in un mare di incertezza e morte”. Sulla riserva di Cheyenne River opera una sola clinica con otto posti letto per una popolazione di 12.000. “L’isolamento è l’unico mezzo che abbiamo a disposizione per difenderci,” ha concluso Frazier.

 

Un infermiere a contratto si riposa in una pausa per i tamp0ni sul Covid-19 fuori a Oljato – foto Ap

 

Lo scontro sui posti di blocco Sioux e la governatrice sodale di Trump (tra l’altro fautore notoriamente entusiasta dei sigilli alle frontiere) agita antichi fantasmi fra popoli la cui conquista è stata scritta anche in gran parte dalla decimazione causata da patogeni portati dagli Europei.

Tutte le foto in pagina sono Ap/LaPresse