Il giorno dopo la fiducia al Freedom act, gli Usa hanno denunciato una nuova massiccia violazione di sicurezza telematica con l’hackeraggio di dati relativi a 4 milioni di impiegati federali. Nel caso – ad oggi – più eclatante di pirateria transnazionale sarebbero stati violati dati anagrafici, fiscali e relativi a paghe, assicurazioni e pensioni di milioni di lavoratori statali in carica e in pensione.

Un attacco di cui Washington ha accusato la Cina anche se Pechino ha smentito categoricamente e ha definito «irresponsabili» le accuse. La situazione ricorda l’attacco informatico alla Sony di qualche mese fa che produsse una rappresaglia «virtuale» degli Usa contro la Corea del Nord, indicativa dell’attuale situazione di guerra cibernetica: un conflitto globale sommerso di cui è difficile stimare l’effettiva portata. Certo è che nessuno è innocente – tantomeno l’occidente. La più forte offensiva virtuale ad oggi – è bene ricordarlo- è il cosiddetto Stuxnet, il malware spedito a sabotare centraline nucleari iraniane di cui è ormai acquisita la matrice Usa-Israele.

Chi è senza peccato, scagli il primo virus. Negli States era durata meno di 48 ore la «libertà americana» conquistata dai senatori che domenica scorsa avevano impedito il rinnovo del Patriot Act. Dopo un giorno e mezzo in cui i cittadini sono rimasti senza la benevola supervisione della National Security Agency, Obama ha firmato Il Freedom Act, la riforma delle intercettazioni di massa. Più che un’apoteosi libertaria la legge rappresenta semmai una modesta modifica procedurale all’apparato di sorveglianza di stato. Il Freedom act introduce alcuni limiti alla capacità della Nsa di raccogliere automaticamente tutti i metadati di ogni telefonata effettuata.

In sostanza i dati delle chiamate (origine, destinazione, durata) verranno da ora in poi raccolti e conservati nei computer delle aziende telefoniche. Le autorità governative potranno richiedervi accesso mediante mandato autorizzato dalla Fisa (Foreign Intelligence Surveillance Court), il tribunale segreto preposto a valutare le richieste delle forze dell’ordine e altre agenzie inquirenti. Un’altra novità prevede l’aggiunta alla Fisa di un «garante pubblico» che dovrebbe monitorarne indipendentemente l’operato.

Con questi accorgimenti il massiccio «data mining» sulle telecomunicazioni dei cittadini è poi ripreso dopo la breve pausa come previsto dal Patriot Act, la legge speciale varata dopo l’11 settembre che ha invalidato di colpo e senza alcun dibattito approfondito, un’intera classe di garanzie costituzionali precedentemente considerate inviolabili. Oltre alla sorveglianza totale il Patriot Act ha prodotto la tortura, le prigioni segrete, ha legittimato il campo di prigionia extralegale a Guantanamo. Eppure, benché irrisoria in termini pratici, la «riforma» della sorveglianza ha grande importanza simbolica come prima limitazione dei poteri smisurati «commissariati» dallo stato nel nome dell’emergenza antiterrorismo.

In un editoriale sul New York Times, Edward Snowden ha scritto che la riforma dimostra il potere di un pubblico informato, dichiarando che «stiamo assistendo all’emergere di una generazione post-terrore che rifiuta di definire ogni aspetto della vita pubblica nell’ottica di una singola tragedia». Anche se nessuno durante il dibattito parlamentare ha proferito il suo nome, il Freedom Act è stata la prima conseguenza concreta delle rivelazioni fatte due anni fa dall’analista ora rifugiato politico in Russia.

Una prova dell’importanza democratica del suo operato che ha rinnovato gli appelli per una amnistia nei confronti di quello che molti considerano un martire dell’informazione. Dal suo esilio russo Snowden ha ancora una volta difeso il proprio operato, ricordando che le informazioni da lui rivelate hanno già prodotto in Europa e America Latina riforme tese a tutelare i cittadini «da leggi liberticide come quelle attualmente promulgate in Russia».

Una vittoria importante per le libertà civili insomma, nell’era dei «conflitti permanenti» anche se parziale. La nuova legge ad esempio non pone limiti alla sorveglianza internet. Lo stesso Snowden ha ricordato le pressioni del governo sulle grandi aziende online per accedere ai loro dati; non casualmente Susan Molinari vicepresidente di Google ha definito la nuova legge «un essenziale primo passo per restituire fiducia in internet».