Ha certamente ragione Paul Krugman che, in un articolo apparso sul New York Times del 15 dicembre, a proposito dell’accordo sul bilancio raggiunto nei giorni scorsi in Usa tra democratici e repubblicani per il 2015, parla di «vendetta di Wall Street». Da parte sua anche Elizabeth Warren, capofila della sinistra democratica ha contestato duramente l’accordo, sempre riferendosi al fondamentale ruolo giocato dalla grande finanza newyorkese nell’affare e in particolare da Jamie Dimon, il potentissimo capo della Citigroup.

Bisogna ricordare che la crisi del 2008 aveva fatto arrivare al centro della scena il perverso ruolo giocato nel crack dalle grandi banche di investimento statunitensi. Dalle due sponde dell’Atlantico i politici di diverse tendenze avevano subito assicurato che si sarebbe presto posto freno alle pessime pratiche della finanza. Lo stesso Obama aveva promesso che le regole del gioco sarebbero state notevolmente cambiate, attirandosi l’odio immediato di Wall Street.

Ma ora vediamo che è la stessa Citigroup, a suo tempo prossima al fallimento e salvata all’ultimo istante solo per il deciso intervento del governo, a dettare parola per parola al legislatore alcune clausole che vengono inserite nell’accordo sul budget negoziato tra i due partiti maggiori. In particolare mentre la sezione 716 del Dodd-Frank Act proibiva alla banche di impiegare i depositi con garanzia pubblica in prodotti molto rischiosi come alcune tipologie di derivati, ora l’accordo cancella tale regola, mentre, d’altro canto, esso aumenta il livello massimo dei finanziamenti che un privato può concedere ai partiti (naturalmente soprattutto ai repubblicani).

La cancellazione della norma sui derivati appare a molti il primo segnale di un progressivo smantellamento delle nuove norme che negli anni scorsi si era riusciti con fatica a varare per regolare meglio il sistema finanziario.
In effetti dal 2009 in poi negli Stati Uniti si era fatto qualcosa per mettere un po’ di più sotto controllo il settore finanziario. Così è stata varato il già citato Dodd-Frank Act che riformava diversi aspetti delle pratiche del settore; questo tra la forte opposizione delle banche, che erano riuscite qua e la ad annacquare un po’ le norme ed a ritardarne l’approvazione, ma non a bloccarle del tutto.

Con le nuove disposizioni gli Stati Uniti si sono a suo tempo tra l’altro dotati di un’agenzia per la protezioni dei consumatori dalla cattiva finanza, mentre alle banche statunitensi sono stati imposti dei livelli di capitalizzazione più forti di prima e comunque più elevati di quelli europei e le stesse banche devono da allora tenere separata la loro attività di banca ordinaria da quella di tipo speculativo, che non deve essere finanziata con i depositi dei risparmiatori. Infine molti tipi di derivati devono essere trattati attraverso una clearing house centrale e non contrattati privatamente come prima.

Vero è che certe norme sono risultate inutilmente complicate e confuse: si pensi che il Dodd-Frank Act è composto di un numero sterminato di pagine, spesso di difficile interpretazione e applicazione e che non si è certo fatto tutto quello che era necessario per governare al meglio un settore che era uscito totalmente dal controllo. Ma complessivamente la situazione era risultata alla fine come migliore che nel nostro continente.

Ricordiamo peraltro che oggi le grandi banche statunitensi, nonostante tutte le regole, hanno assunto dimensioni più rilevanti di prima della crisi e che il sistema finanziario appare più concentrato.

La rabbia della Warren si è concentrata nelle ultime settimane anche sul fatto che una parte molto importante degli incarichi nell’amministrazione pubblica è stata di recente affidata ad uomini provenienti proprio da Wall Street.
Va anche sottolineato che per far passare l’accordo i repubblicani hanno preteso ed ottenuto diverse altre concessioni che ci appaiono odiose. Così una misura permette alle società private di tagliare le pensioni, mentre appaiono decurtati gli stanziamenti per le borse di studio per gli studenti più poveri, nonché quelli per altri programmi sociali rivolti alle donne e ai bambini e mentre vengono anche ridotte le dotazioni al settore del risparmio energetico e delle energie rinnovabili; risultano infine tagliati i fondi all’agenzia di protezione dell’ambiente.

Uno dei più noti commentatori del pur austero Financial Times, Edward Luce, commenta il ritorno della finanza alla ribalta della politica statunitense affermando che ci sarà un’altra crisi a Wall Street, anche se può darsi l’anno prossimo o tra dieci anni; nessuna legge ormai può per lui evitare che la bomba esploda. Speriamo soltanto che l’esplosione non trovi impreparati i politici e i regolatori.