L’8 luglio di un anno fa, 30 mila detenuti in California scesero in sciopero della fame e del lavoro, il più grande sciopero di detenuti nella storia degli Usa. La loro rivendicazione principale era la fine dell’isolamento di lungo periodo – che dura anche decenni, in cubicoli spesso senza finestre di 2×2,5m. In California oltre 10 mila persone vengono private, talvolta per sempre, di ogni contatto umano. Alcuni scioperanti rifiutarono perfino l’acqua. Un detenuto morì dopo il rifiuto dell’aiuto medico, ma per i funzionari della prigione si era suicidato, una balla delle guardie, che, con il loro sindacato, traggono benefici economici dalla tortura dell’isolamento.

Il sistema repressivo ha sempre sfruttato le divisioni razziali e religiose tra i detenuti. Fino al 2010, quando tutti i detenuti dello stato della Georgia rifiutarono di uscire dalle loro celle e di andare al lavoro. E questo divenne lo sciopero della fame del 2011 in California. Nell’agosto 2012, i detenuti della Prigione di Stato californiana di Pelican Bay che avevano lanciato tre precedenti scioperi della fame, annunciarono che «tutte le ostilità tra i gruppi razziali cesseranno ufficialmente». Avevano aperto la strada per l’azione del 2013, coinvolgendo ogni detenuto e ogni loro famiglia. In California quest’unità incominciò con il superamento della divisione «Black-Brown», tra immigrati o loro discendenti dall’America latina e gli afro-americani. Una divisione che ha sempre indebolito il movimento anti-razzista e quello contro le deportazioni. Imparare da questa sbalorditiva unità è il compito di ogni movimento fuori dalle prigioni.

Dolores Canales – suo figlio è stato in isolamento per 13 anni – e altri famigliari – quasi tutte donne – lanciarono la California Families to Abolish Solitary Confinement. A San Francisco, Marie Levin – un fratello dentro – membro del Prisoner Hunger Strike Solidarity (una coalizione di avvocati, sostenitori e familiari), fece girare per parchi e università un modellino del cubicolo dell’isolamento, per mostrare ai cittadini quello che pagano con le loro tasse.

I detenuti sospesero lo sciopero dopo 58 giorni per evitare altre morti. Ma l’organizzazione continuò la lotta dentro e fuori. Oltre a questa straordinaria unità, lo sciopero ha ottenuto udienze pubbliche governative sull’isolamento; rilascio dall’isolamento di oltre 500 detenuti; estensione delle visite dei loro cari; accesso al cibo della mensa (un’alternativa fondamentale al cibo su cui le guardie pisciano e perfino defecano).

Lo sciopero era stato lanciato non solo per migliorare le condizioni nelle prigioni Usa, ma anche come un «atto di solidarietà con gli oppressi del mondo». I prigionieri palestinesi, con la loro storia di lotte contro l’apartheid israeliano e di scioperi della fame contro gli occupanti, furono tra i primi ad applaudire l’iniziativa con un messaggio.

Questo primo anniversario verrà segnato in molti luoghi da eventi a celebrazione delle vittorie, rafforzando in questo modo ogni movimento per i diritti dei detenuti. Verranno evidenziati due casi in Pennsylvania: la donna che ha preso 30 anni per aver ucciso un uomo che aveva tentato di stuprarla, e i Dallas 6, perseguitati per aver detto la la verità sulle loro condizioni.
I detenuti danno con parole e fatti un nuovo significato al potere dell’anti-razzismo. E madri, figlie, sorelle, mogli che lottano per i loro cari, esigono che questo lavoro venga riconosciuto come parte del vastissimo lavoro politico che le donne fanno dappertutto.

www.globalwomenstrike.net
traduzione di Giorgio Riva