Tabaré Vazquez, candidato della coalizione di centrosinistra Frente Amplio, ha vinto il ballottaggio di domenica. E’ stato eletto presidente dell’Uruguay con il 53,6% contro il 41,1% di Luis Lacalle Pou, rappresentante del Partido Nacional. Tra il vincitore e il suo avversario conservatore, uno scarto del 13%. E’ la forbice più ampia ottenuta dal vincitore di un ballottaggio da quando, nel 1996, la riforma costituzionale ha istituito il secondo turno. Da allora, le urne hanno visto tre ballottaggi, il primo nel 1999, perso da Vazquez contro il candidato del Partido Colorado, Jorge Batle (44,5% contro 52,2%, l’8% in meno); il secondo nel 2009, quando l’attuale presidente José Mujica ha vinto su Luis Alberto Lacalle con il 52,3% contro il 43,4% (8,8% in più). Tra l’uno e l’altro, Vazquez è diventato presidente al primo turno superando la soglia del 50%. Ora, il candidato del Frente Amplio (la coalizione di centro-sinistra che ha ottenuto la maggioranza nei due rami del parlamento) assumerà l’incarico a marzo e governerà fino al 2020.

Il settantaquattrenne oncologo ha voluto ricordare il 30 novembre di 34 anni fa. Allora, la popolazione ha espresso «un chiaro no» alla riforma costituzionale proposta dalla dittatura, con il 56% dei voti, e «un deciso sì alla democrazia, riconquistata nel 1985. Oggi – ha dichiarato domenica sera Vazquez – abbiamo detto nuovamente sì a più libertà, diritti, a una miglior democrazia e a una miglior cittadinanza, a più sviluppo economico, sociale e culturale». La popolazione ha detto sì «anche a più lavoro e più valore aggiunto alla produzione e alla sostenibilità ambientale – ha aggiunto Vazquez – ma anche a una maggiore infrastruttura per l’attività economica del paese e per la vita quotidiana delle persone. E un sì al miglioramento della qualità dei servizi pubblici: salute, educazione, sicurezza, attenzione a tutti gli uruguayani e specialmente a chi ne ha più bisogno; un sì a una maggior integrazione interna e esterna con la regione e il mondo». Il neo eletto ha poi invitato «tutti i settori della società a un ampio dialogo sui temi fondamentali» e ha esortato ad ascoltare «il cuore del paese». Quindi, ha così concluso: «Non bisogna tanto pensare alle prossime elezioni, quanto alle prossime generazioni».

Alla vicepresidenza, ci sarà Raul Sendic, figlio dello scomparso leader dei Tupamaros, che ha ricordato alcune lettere inviategli dal padre quand’era in carcere durante la dittatura: «Siamo cavalieri della storia – ha detto – dopo aver conquistato un orizzonte, se ne presentano dei nuovi. Il Frente Amplio è così».
Lacalle Pou ha subito riconosciuto la sconfitta: «E’ la democrazia», ha detto. Tutti i presidenti dell’America latina si sono congratulati con Vazquez via twitter, e nelle piazze sono cominciati i festeggiamenti.
L’Uruguay ha dunque deciso di non tornare indietro, almeno sul piano formale. Quanto ai programmi e alle questioni in campo, è noto che il neo presidente è più moderato del suo carismatico predecessore José “Pepe” Mujica: sia sul piano dei diritti (aborto, marijuana, matrimoni gay), che su quello economico e dell’integrazione latinoamericana. «Può darsi che Vazquez abbia ragione a voler modificare la Costituzione per eliminare il secondo turno, ma a me preoccupa soprattutto che abbiamo una Costituzione a tutela del latifondo», ha affermato Mujica di recente. E ha spiegato che la Carta magna impedisce di tassare i latifondisti, «mentre consente di aumentare ogni giorno l’Iva su quel che si mangia. E allora – ha chiesto – a favore di chi è questa Costituzione?». L’ex tupamaro Mujica, per legge non ha potuto più ricandidarsi. In compenso, è stato eletto senatore e così pure la sua compagna, Lucia Topolansky, anche lei ex guerrigliera, probabile ministra per l’Agricoltura.

Un’altra questione spinosa è quella che riguarda la passata dittatura. In un documento di un centinaio di pagine, intitolato “Diritto alla verità nelle Americhe”, la Commissione interamericana per i diritti umani ha sollecitato alcuni paesi che hanno subito regimi dittatoriali (Brasile, Cile e Uruguay) o sanguinose guerre civili (Guatemala e Salvador) a «declassificare gli archivi». La Commissione ha lamentato anche l’esistenza di leggi che impediscono i processi per violazione dei diritti umani in tutta la loro estensione: «Il diritto alla verità non può essere coartato attraverso misure legislative come le amnistie», dice il documento e ricorda che 16 paesi hanno istituito commissioni per la verità per far luce su torture, assassinii e scomparse durante i regimi militari negli anni ’70-’80. La prima è stata creata dall’Argentina dopo il ritorno alla democrazia, nel 1983. L’ultima è in corso in Brasile, si è costituita nel 2012 per indagare i crimini dei diversi governi militari che si sono succeduti tra il 1964 e il 1985.

Su questo, però, neanche l’ex prigioniero Mujica è d’accordo a riaprire vecchie ferite: «Accoglierò i prigionieri di Guantanamo – ha dichiarato di recente – ma a condizione che possano girare liberi e non debbano tornare in carcere qui da noi. So cosa significa passare anni dietro le sbarre».