L’Uruguay va al ballottaggio. Il candidato del Frente Amplio, Daniel Martinez, non è riuscito a superare il 50% delle preferenze necessarie per evitare il secondo turno. A sfidarlo sarà Luis Lacalle Pou, spalleggiato da tutti i partiti di opposizione uniti nell’inedita «coalizione multicolore». Il noto storico e politologo, Gerardo Cataeo, professore della Universidad de la República, vede quasi impossibile per Martinez la rimonta degli 8 punti di svantaggio che prevedono quasi tutti i sondaggi.

Questa spaccatura in due è una novità nella politica uruguaiana?
Da vent’anni ormai la politica uruguaiana si è divisa in due chiari blocchi. Uno progressista, rappresentato, basicamente, dal Frente Amplio, e l’altro di centro-destra composto dai partiti tradizionali, Nacional e Colorado. Questo panorama creato con la riforma costituzionale del 1996, nelle cinque elezioni svolte da allora ha sempre visto il Frente Amplio come primo partito, anche se nel ’99 perse il ballottaggio. La grande novità del 2019 però è l’irruzione di un partito di estrema destra, Cabildo Abierto, con a capo chi fino a marzo era il comandante dell’esercito e che al primo turno ha ottenuto il 10% e tre senatori e undici deputati. Con la coalizione di destra, se Pou vincerà, al governo ci saranno anche loro, oltre che sedere al lato della maggioranza in Camera e Senato.

Una svolta a destra dell’elettorato quindi?
Sulla possibile sconfitta del F.A. pesano sopratutto le richieste di una maggior sicurezza e una stagnazione degli indicatori economici. L’Uruguay negli ultimi anni è stato molto al di sopra degli standard latinoamericani, con una povertà sotto l’8%, e un aumento approssimativo del salario del 55% negli ultimi 15 anni, mantenendo l’inflazione sotto controllo. Il deficit fiscale colpisce principalmente i 17 dipartimenti fuori dalla capitale, dove l’opposizione ha raccolto grandi consensi. Ci sono anche processi più profondi. La società uruguaiana si è sempre identificata, in termini ideologici, su posizioni di centro-sinistra. Nei rilevamenti, fatti con un gruppo di ricercatori, abbiamo notato che oggi c’è uno spostamento massivo verso posizioni di centro e centro destra, come in tutto il continente. L’opposizione così ne ha tratto vantaggio. Significa minor fiducia nelle istituzioni democratiche, nei partiti, nei sindacati, ma anche nelle relazioni interpersonali, e abbiamo notato una maggior approvazione verso le forze armate. Ma al di là del caso di Cabildo Abierto, nulla fa pensare che l’Uruguay possa perdere la solidità della sua democrazia come in altre parti del continente.

Quanto potrebbero pesare i recenti sconvolgimenti nei paesi latinoamericani sul voto di domenica?
Il governo si è concentrato nel differenziare il discorso interno sulla stabilità rispetto al piano internazionale e quindi la catastrofe economica in Argentina o in Venezuela, la protesta popolare in Cile e i suoi livelli di disuguaglianza, il colpo di stato in Bolivia o il giro a destra del Brasile. Certo il leitmotiv di Martinez è stato che una vittoria della destra trasformerebbe l’Uruguay in una Argentina o Brasile. Ma finora i nostri studi e la mia percezione dicono che questo fattore di comparazione non è per nulla determinante.

Il Frente vive una fase di rinnovamento profondo della sua dirigenza. Peserebbe una sconfitta?
Oggi ha tre grandi leader, Vázquez, Mujica e Astori, che per ragioni anagrafiche sono ormai in declino. Martinez oggi è un buon candidato, ma non un leader. Credo che dopo le elezioni il partito dovrà cercare un rinnovamento politico, senza perdere la diversità ideologica che lo contraddistingue. Dopo 15 anni di governo il suo futuro dipenderà da quello.

E se dovesse governare l’opposizione?
Mistero, specialmente a causa della presenza di Cabildo Abierto, un partito con una visione autoritaria, contro quello che loro chiamano “l’ideologia gender” e tra le cui fila ci sono personaggi che hanno partecipato alla dittatura militare. Il collante della coalizione di centro destra è solo l’anti progressismo. E per governare non basta.