La mattina del suo ultimo giorno di governo José Mujica l’ha dedicata a una passeggiata nel suo terreno del Rincón del Cerro insieme alla moglie, la senatrice Lucía Topolansky. Di lì a poco lei si è recata al Palacio Legislativo per dare l’investitura davanti alle Camere riunite al presidente entrante Tabaré Vázquez e lui è salito sul suo maggiolone per raggiungere Plaza Independencia dove si svolgeva la cerimonia pubblica di passaggio di consegne tra i due leader. Vázquez invece alle 8,30 è uscito di casa per parlare con i giornalisti, ha annunciato che nel discorso alla nazione, a fine giornata, avrebbe illustrato le linee guida del suo governo e ha ribadito che «Mujica sarà un punto di riferimento di primo piano».

Istantanee da una Montevideo soleggiata e pigra. Raccontano un passaggio di governo che è anche un passaggio di stile. E non poteva essere diversamente proprio per la specificità che il presidente uscente, Mujica, ha impresso alla sua presidenza dando respiro e riconoscimento internazionale a un paese di poco più di tre milioni di abitanti, schiacciato tra Brasile e Argentina. Mai come questa volta, commentano i giornalisti locali, tanta stampa internazionale ha seguito l’insediamento di un governo uruguayano. Mai come questa volta si fa fatica a concentrarsi sul futuro presidente, tanto il riconoscimento pubblico a quello uscente continua a salire. Tabaré Vázquez lo sa e riesce a non farsi trascinare nel confronto mantenendo uno stile istituzionale e non rinunciando alle sue originalità: nel percorso tra il Palacio Legislativo e Plaza Independencia sfila tra la folla su un Fordson del 1951, la sua prima macchina, con la quale lavorava nella distribuzione di merci negli anni giovanili.

Ma i nodi politici di questa transizione sono ben altro dal folclore. Il ritorno di Tabaré apre un confronto niente affatto di facciata con la precedente amministrazione. Innanzitutto nello stile di governo le cui decisioni, si dice da queste parti, saranno prese «nella solitudine della coscienza» di Vázquez con un metodo assai lontano dal paradigma assembleare della gestione Mujica che spesso ha dato luogo a rettifiche e marce indietro. E poi nei contenuti. Innanzitutto sul tema della politica estera dove le iniziative di Mujica di accoglienza dei profughi siriani e degli ex prigionieri di Guantanamo – una bandiera della sua gestione – sono fonte di preoccupazione per la nuova gestione, che vuole «una profonda analisi del programma per ponderare gli effetti sia sulle persone accolte che sulla società uruguayana». E sulla situazione venezuelana ad esempio, che ha già provocato le prime polemiche tra differenti esponenti, all’interno del Frente Amplio, e tra questi e il nuovo ministro degli esteri Nin Novoa. Quest’ultimo ha un profilo non particolarmente gradito ad ampi settori della coalizione di governo e si vocifera che spinga per un avvicinamento a Israele, mentre Mujica si era impegnato per il riconoscimento dello stato palestinese.

In politica interna, i cambiamenti più marcati dovrebbero riguardare alcune iniziative portate avanti da Mujica e che stanno particolarmente a cuore al suo settore politico. In particolare il destino del Fondes – Fondo per lo sviluppo delle imprese autogestite – che ha finanziato in questi anni le cooperative di lavoratori delle imprese recuperate e che il presidente uscente ritiene imprescindibile. Sulla stessa linea, il Plan Juntos, un piano per fronteggiare l’emergenza abitativa che Mujica ha varie volte definito qualcosa di più che un programma di case popolari, per le caratteristiche di integrazione sociale e solidarietà che implica. Entrambi gli argomenti verranno riportati da Vázquez in Parlamento dove però il settore di Mujica avrà la possibilità di far pesare la sua forza numerica.

L’annosa questione dei diritti umani e della verità e della giustizia per le vittime delle dittature militari ancora divide fortemente la società uruguayana, e coinvolge anche il nostro paese: il processo per il Plan Condor è in corso e uno degli accusati, Jorge Troccoli, risiede in Italia con un passaporto italiano. Il tema sarà al centro delle azioni del nuovo esecutivo, con l’istituzione di una commissione composta da membri delle comunità religiose, associazioni di vittime e familiari e due rappresentanti politici – Macarena Gelman e Felipe Michelini – che in più occasioni hanno manifestato il proprio disaccordo con il governo uscente per l’operato in materia di diritti umani.

Quello che è certo è che Mujica non si ferma. Ha promesso di occuparsi della scuola agraria che sta aprendo nel suo terreno ma ha anche dichiarato che non se ne va, anzi che «sta arrivando».