«L’Unione Europea ha mantenuto la parola data». La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen annuncia così il raggiungimento dell’obiettivo di fornire cinquecento milioni di dosi entro luglio, un impegno ribadito sin dal mese di marzo. Mezzo miliardo di dosi sono la cifra sufficiente a vaccinare il 70% degli europei adulti, poco più di 250 milioni di abitanti nei 27 Paesi dell’Ue. Dato che le dosi sono state distribuite ai vari Paesi in proporzione alla popolazione, a noi è andata un po’ peggio a causa della bassa percentuale di under 18. Le dosi arrivate in Italia sono finora 63 milioni, utili a vaccinare circa 33 milioni di persone, ovvero poco sopra il 60% della popolazione italiana maggiorenne. Ma tenendo conto dei 4 milioni di guariti, che avranno bisogno solo di una dose, anche da noi l’obiettivo di immunizzare il 70% della popolazione entro luglio è a portata di mano.

«Ora gli Stati membri devono fare di tutto per aumentare le vaccinazioni. Solo allora saremo al sicuro», ha proseguito von der Leyen, dicendo ai suoi concittadini solo una mezza verità. L’importanza simbolica della soglia del 70%, infatti, deriva da un calcolo teorico sulla quota di vaccinazioni necessarie a raggiungere l’immunità di gregge, quella che impedisce al virus di propagarsi quando la probabilità che un individuo infetto entri in contatto con uno suscettibile diventa troppo bassa. Era un calcolo che si basava sul tasso di trasmissione dei primi ceppi virali provenienti da Wuhan. La variante Delta, hanno stabilito gli epidemiologi, ha una capacità di trasmissione decisamente più elevata e questo alza la soglia dell’immunità di gregge ben al di sopra dell’80%. Sempre che di immunità di gregge si possa parlare, in presenza di un virus che sviluppa varianti con una certa rapidità.

In realtà, come sta scoprendo proprio in queste settimane l’Unione Europea a causa della variante Delta proveniente dall’India, la sicurezza durante una pandemia non si raggiunge immunizzando un solo territorio, per quanto esteso. Gli indubbi successi raggiungi nella parte privilegiata del mondo, infatti, sono stati raggiunti alle spese dei Paesi poveri, che sono in larghissima parte esclusi dalle campagne di vaccinazioni. Oltre il 60% dei 3,4 miliardi di dosi somministrati a livello globale sono stati accaparrati da Unione Europea, Stati Uniti e Cina, in cui vive meno del 30% della popolazione mondiale. In queste aree ad alto reddito si è somministrata in media quasi una dose per ogni abitante. Questo rapporto scende a 1 dose ogni 2,5 abitanti a livello mondiale. In Africa è arrivata finora 1 dose ogni 25 abitanti.
Il programma umanitario Covax promosso dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dall’Unicef e della Gavi (Alleanza globale per i vaccini e l’immunizzazione) sotto la forte influenza della fondazione dei filantrocapitalisti Bill e Melinda Gates sta infatti segnando il passo. L’obiettivo del programma era mettere al servizio della solidarietà globale un’organizzazione ispirata al funzionamento dei fondi di investimento finanziari. Nei suoi obiettivi, avrebbe dovuto consegnare 2 miliardi di dosi ai Paesi a basso e medio reddito entro il 2021. Quel traguardo adesso sembra irraggiungibile. Finora, stando ai dati forniti dall’Unicef, il programma Covax ha consegnato circa 100 milioni di dosi in tutto, cioè il 5% del totale. Le dosi prenotate sono molte di più, ma la ridotta capacità produttiva delle aziende costringe i Paesi poveri a rimanere in fondo alla fila. La principale fabbrica di vaccini al mondo, il Serum Institute of India, avrebbe dovuto fornire a Covax 400 milioni di dosi entro il 2020. Lo tsunami epidemico che ha travolto il subcontinente ha costretto però il governo a bloccare ogni esportazione.