Urne aperte ieri in Sudafrica per elezioni amministrative cruciali e di fatto referendarie per l’African National Congress (Anc), il partito al governo ininterrottamente dal 1994, anno delle prime elezioni libere e multirazziali del paese. Questa volta infatti, anche una vittoria di misura costituirebbe un sconfitta tanto per l’Anc quanto per il capo dello stato Jacob Zuma (74 anni) entrambi al centro di aspre contestazioni popolari che coinvolgono in modo sempre più esteso le roccaforti e i sostenitori storici della loro leadership.

La singolarità di questa tornata-test sta nel fatto che per la prima volta in due decenni il movimento-partito di liberazione non può più contare sull’ovvia aspettativa di fedeltà del suo elettorato storico, vale a dire la stragrande maggioranza (nera) della popolazione. Ciò che le elezioni di ieri molto probabilmente evidenzieranno sarà in ogni caso il fattore che più si è incrinato nel corso degli ultimi due decenni emergendo drammaticamente nelle proteste e nel forte malcontento di questi ultimi anni, vale a dire la fiducia nell’Anc da parte del suo elettorato «naturale». E con esso il patto infranto di un’investitura permanente a governare il Paese ricevuta quasi per diritto naturale dopo aver combattuto e vinto il regime dell’apartheid.

Ce lo diranno i risultati nelle prossime ore quanto e come le elezioni di ieri siano state o no una buona cartina di tornasole dell’attuale situazione politico-economica e socio-culturale del Paese più industrializzato dell’Africa, con un’economia debolissima destinata a registrare quest’anno (secondo le stime della banca centrale) una crescita zero, un tasso di disoccupazione tra i neri – il gruppo più grande su una popolazione di oltre 50 milioni di abitanti – pari a oltre il 30% (oltre il 48% tra i neri di età compresa tra i 20 ei 24 anni) rispetto ad appena il 7% per i bianchi, una valuta prossima allo status rating di «junk» (con una discesa cominciata a dicembre scorso quando Zuma per favorire alcuni affari dei Gupta, una potente famiglia di imprenditori di origini indiane, ha silurato l’allora ministro delle finanze Nhlanhla Nene sostituendolo con altri due nel giro di una settimana). Più di 26 milioni di sudafricani sono stati chiamati a votare ieri in 278 comuni.

A fare la fila verso i seggi, tra gli elettori nel villaggio di Nkandla – nel KwaZulu-Natal – c’era anche, gioviale e sorridente, il presidente Zuma.

Tra i conterranei del suo villaggio natale finito sulle cronache dei media di mezzo mondo per uno scandalo a sei zeri che gli è costata ad aprile scorso una mozione di impeachment – da cui si è salvato – per violazione della costituzione dopo che la Corte Costituzionale lo ha condannato alla restituzione di migliaia di dollari di fondi pubblici utilizzati per la ristrutturazione della sua residenza privata di Nkandla appunto.

Sono tre le città chiave di cui secondo i sondaggi l’Anc potrebbe perdere il controllo: Johannesburg – hub economico e finanziario, Tshwane – la grande area metropolitana intorno alla capitale Pretoria – e Port Elizabeth. Secondo i sondaggi a Johannesburg il principale partito d’opposizione la Democratic Alliance (Da) – che l’anno scorso ha eletto Mmusi Maimane suo primo leader nero – potrebbe ottenere il 36% dei voti. Mentre l’Economic Freedom Fighters (Eff) di Julius Malema è dato al 9% a Johannesburg, 13% a Tshwane e 6% a Nelson Mandela Bay.

In queste stesse città di conseguenza Anc è vista in calo al 31%, 23% e 28%, rispettivamente, dal 59%, 55% e il 52% delle amministrative del 2011.