Uri Avnery ha commentato la realtà intorno a lui e le politiche di Israele fino agli ‎ultimi giorni della sua lunga vita. Lo scorso aprile su CounterPunch aveva ‎condannato con forza il fuoco dell’esercito israeliano sui manifestanti palestinesi ‎della Grande Marcia del Ritorno. E avrebbe scritto ancora tanto se lo scorso 4 ‎agosto non l’avesse fermato un ictus. Uri Avnery si è spento nella notte tra ‎domenica e lunedì all’ospedale Ichlov di Tel Aviv. Il prossimo 10 settembre ‎avrebbe compiuto 95 anni.

‎ Definire, come hanno fatto molti ieri, Avnery il pacifista più noto di Israele è ‎riduttivo, non rende onore a un giornalista, scrittore, opinionista e personaggio ‎politico che pur dichiarandosi un sionista, convinto dell’importanza di uno Stato ‎dove accogliere gli ebrei, per decenni ha criticato il Sionismo e difeso con ‎sincerità il diritto del popolo palestinese di rendersi libero, sovrano e indipendente ‎sulla sua terra. Nato a Beckum in Germania nel 1923 (con il nome di Helmut ‎Ostermann), Avnery ha scritto molti libri. In uno di essi, “Israele senza sionisti” ‎del 1968 (pubblicato due anni dopo da Laterza, con prefazione di Antonio ‎Gambino) racconta la sua vita ma anche aspetti poco noti, almeno in Italia, delle ‎attività violente e terroristiche dei militanti sionisti, soprattutto di quelli di destra. ‎Lui da adolescente fece parte proprio della destra radicale, dell’Irgun. Ne uscì nel ‎‎1942 perché, avrebbe spiegato anni dopo, ‎«non mi piacevano i metodi di terrore ‎applicati dall’Irgun‎». Nel 1946, prima della fondazione di Israele, cominciò a ‎parlare di “Hishtalvut BaMerhav” (integrazione nella regione) ossia di uno Stato ‎ebraico non allienato all’imperialismo e al colonialismo ma inserito nel “Merhav ‎HaShemi”, lo “spazio semitico”, immaginando un’alleanza tra arabi ed ebrei in ‎Palestina, Transgiordania, Libano, Siria e Iraq.

‎ Dopo la guerra del 1948 e la Nakba palestinese lavorò al quotidiano Haaretz e ‎nel 1950 comprò la rivista HaOlam HaZeh che sarà per decenni il megafono delle ‎sue idee. Le sue posizioni critiche della politiche governative si rafforzarono dopo ‎la crisi di Suez del 1956 con l’invasione del Sinai da parte di Israele. Nel 1965 ‎Avnery entrò nella Knesset alla testa di un partito che portava il nome della sua ‎rivista. Fu rieletto una seconda volta quattro anni dopo. Stanco dei partiti, fu ‎attivo diversi anni dopo nella “Lista progressista per la pace” che sosteneva un ‎Israele non più Stato ebraico ma Stato binazionale.‎

‎ Il suo nome divenne famoso in tutto il mondo quando nel 1982, sotto i ‎bombardamenti di Israele che aveva invaso il Libano, corse a Beirut per ‎intervistare e stringere la mano al presidente dell’Olp Yasser Arafat. Per la prima ‎volta che il capo dell’Olp si rivolse agli israeliani. Nell’intervista, pubblicata da ‎Liberation, Arafat affermò che «la Palestina è per diritto dei palestinesi»…ma può ‎essere ‎«un paese per voi e per noi insieme» e si disse pronto a dialogare con tutte ‎le forze progressiste israeliane, avvertendo però «non potete costringerci ad ‎accettare le teorie sioniste…nessun popolo può essere dominato con la forza delle ‎armi». Avnery per quell’incontro fu indagato in Israele per violazione delle leggi ‎antiterrorismo e diseredato dalla madre.‎

‎ In coincidenza con la firma degli Accordi di Oslo del 1993 tra Israele e Olp, ‎Avnery fondò Gush Shalom, un movimento a sostegno dei Due Stati, con ‎Gerusalemme capitale per palestinesi ed ebrei. Negli anni successivi avrebbe visto ‎con disappunto evaporare questa soluzione per l’incessante colonizzazione dei ‎Territori palestinesi e altre politiche di occupazione.‎