«Mai più militari morti e ammalati senza sapere perché». Ad affermarlo è la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito nella relazione finale dei lavori (approvata con dieci voti e favore e due contrari) presentata ieri alla Camera e nella quale si invitano le istituzioni a riconoscere come l’uso dell’uranio impoverito tra le forze armate possa essere all’origine dell’insorgere di tumori. Con un richiamo anche alle responsabilità del ministero della Difesa per non aver saputo tutelare adeguatamente la salute degli uomini e delle donne in divisa, sia in Italia che nel corso delle missioni all’estero. Affermazione che ha provocato la replica da parte dello Stato maggiore della Difesa, che in un comunicato definisce quelle della commissione «accuse inaccettabili» negando anche di aver «mai acquistato o impiegato munizionamento contenente uranio impoverito».

Due anni di lavoro hanno permesso ai membri della commissione presieduta dal dem Gian Piero Scanu (non ricandidato dal Pd alla prossime elezioni), di lanciare l’allarme sui «molteplici e temibili rischi a cui sono sottoposti» anche «lavoratori e cittadini nelle attività svolte dalle Forze Armate, ma anche della Polizia di Stato e dai Vigili del fuoco». Un esempio è rappresentato dai poligoni di tiro militari per i quali «sono emerse rilevanti criticità che investono in primo luogo i temi della salute dei lavoratori e dei cittadini che vivono nelle aree adiacenti agli insediamenti militari».

L’esempio più eclatante è la Penisola Delta del poligono di Capo Teulada, in Sardegna, definita come «il simbolo della maledizione che per troppi decenni ha pesato sull’universo militare». Utilizzata «da oltre 50 anni come zona di arrivo dei colpi, permanentemente interdetta al movimento di persone e mezzi». Le conseguenze di questo utilizzo sono per la commissione fin troppo evidenti: «Le immagini satellitari ritraggono una discarica non controllata: sulla superficie tonnellate di residuati contenenti cospicue quantità di inquinanti in grado di contaminare suolo, acqua, aria, vegetazione, animali. E l’uomo».

Per quanto riguarda i rischi da esposizione alle radiazioni ionizanti del personale delle Forze armate, la relazione evidenzia una serie di dati emersi nel corso dei lavori. Tra questi si sottolinea una nota del Comandante generale della Guardia di Finanza del 26 ottobre 2017 che indica la detenzione/presenza di 576 proiettili “API” realizzati con uranio impoverito. Tali proiettili – prosegue al relazione -sarebbero stati “smaltiti” in un’esercitazione presso il poligono militare di Torre Astura (LT) nel 1994. A rischio sarebbero comunque caserme, depositi e stabilimenti militari a causa sia di «deficienze strutturali… sia carenze di manutenzione, sia materiali pericolosi». «La presenza di amianto ha purtroppo caratterizzato navi, aerei, elicotteri. Tanto che la commissione d’inchiesta è giunta ad accertare che solo nell’’ambito della Marina militare 1.101 persone sono decedute o si sono ammalate per patologie absbesto-correlate». La relazione riporta il parere espresso direttore del Registro nazionale dei mesoteliomi (Renam) Alessandro Marinaccio per il quale «il picco dei casi di mesotelioma è presumibile sia nel periodo tra il 2015 e il 2020».

Tra le audizioni tenute nel corso dei lavori, la commissione evidenzia quella avvenuta il 23 marzo del 2016 dal professor Giorgio Trenta, presidente dell’Associazione italiana di radioprotezione medica che «ha riconosciuto la responsabilità dell’uranio impoverito nella generazione di nanoparticelle e micropolveri, capaci di indurre tumori ». Parole che però sono state smentite ieri dallo stesso Trenta: «Assolutamente non è il mio pensiero», ha detto una volta noti i risultati della commissione. ««Non ho mai detto che l’uranio impoverito è responsabile dei tumori riscontrati nei soldati, le mie parole sono state travisate». Secca la replica di Scanu, che a Trenta ha ricordato come le «sue affermazioni sull’uranio sono depositate in una sua perizia giurata depositata presso la Corte di conti dell’Abruzzo. Nella sua audizione – ha proseguito il presidente della commissione – gli fui chiesto due volte se confermava quel testo e non ne negò la paternità. Non si capisce per quale motivo ora il professore voglia negare la responsabilità di tali proiettili nel generare le nanopolveri che sono la vera causa di molte forme tumorali».