«È difficile diventare chi volevi essere» dice, con una traccia di protesta nella voce, Ryota Shinoda a suo figlio Shingo, nell’ultimo film di Hirokazu Kore-eda, Umi Yorimo Mada Fukaku. Un titolo, presentato in prima mondiale a Cannes 2016, nella traduzione italiana diventato Ritratto di famiglia con tempesta ma che – ci dice il press book- in giapponese significa «più profondo del mare», e viene dal testo di una famosa canzone della popolare cantante Teresa Teng.

Girato in un complesso di case di Tokyo, dove lo stesso Kore-ed ha vissuto con sua madre, tra i nove e i ventotto anni, dopo la morte del papà, e nella cui malinconica decrepitezza aleggia l’ombra di fallimento che strega il personaggio, After the Storm è un altro dei bellissimi racconti famigliari a cui il regista ha dedicato i suoi ultimi lavori. Dopo il mondo femminile di Our Little Sister, al cuore della storia è un personaggio maschile. Non un uomo inflessibile – con gli altri e con se stesso- come il padre di Like Father Like Son, ma un uomo spezzato, deluso di sé, e che ha deluso chi gli sta intorno. Dopo quel primo libro che ha fatto parlare di lui come di una grande promessa letteraria, e irritato la sua famiglia che si è riconosciuta nella trama, Ryota (Hiroshi Abe –bello, ombroso, stropicciato e in pateticamente insicuro) non è più riuscito a pubblicare niente.

Lui dà la colpa ai tempi che corrono, e sopravvive – con la scusa di star ricercando il suo prossimo romanzo – lavorando per un’agenzia investigativa privata, che lo paga molto meno di quanto gli serve per rispettare gli obblighi nei confronti della ex moglie e del figlio, e per alimentare la sua incorreggibile passione per il gioco. Contro cui è affondato il suo matrimonio. Affiancato da un collega più giovane di lui, all’inizio dei film, Ryota è quasi una macchietta in un poliziesco – ruba i biglietti della lotteria nel cassetto della madre (che lo sa e lascia correre), rivende a mogli che tradiscono il marito le foto incriminanti, promette inutilmente di saldare debiti che ha collezionato a destra e sinistra.

E spia da lontano la ex moglie con il suo nuovo compagno, che è l’esatto contrario di lui: affidabile, affettuoso, di successo, competitivo, presente con suo figlio con cui gioca a baseball e a cui insegna valori completamente diversi da quello di Ryota. Inadempiente come scrittore, figlio, marito, padre e fratello, Ryota vive paralizzato dall’abisso che esiste tra la sua realtà e quelle che erano le sue aspirazioni, sommerso dalla tonnellata di promesse infrante e bugie inutili dietro a cui si difende, e dall’eredità di un padre «poco di buono» come lui.

«Gli uomini  non sanno esistere nel presente, pensano sempre alle cose che non sono riusciti a fare in passato e a quelle che non riusciranno a fare in futuro», gli dice un giorno sua madre (interpretata da Kilin Kiki, senza la cui partecipazione, ha detto Kore-eda, non avrebbe fatto questo film), che lo appoggia incondizionatamente pur riconoscendo I suoi limiti. «Per quello non amano la vita». È con l’aiuto dell’anziana signora, e del meteo, che il film si cristallizza d’improvviso in puro presente, quando Ryota, suo figlio, la ex, e la mamma, si trovano intrappolati, per un’intera notte, da un grosso tifone – il 24esimo, dicono le news, nel giro di pochissimo tempo.

Mentre fuori infuria la tempesta, e la pioggia scrosciante cancella quasi completamente l’esistenza del mondo esterno, nelle piccole stanze piene di ricordi del vecchio appartamento di famiglia, in un quartiere alberato lontano dal centro della città, Kore-eda mette in scena una delicatissima coreografia dei personaggi, dei dialoghi e dei sentimenti; in cui, dalle macerie di cose preziose perdute per sempre («non capisco come le cose cose siano arrivate a mettersi così», dice uno dei personaggi) , dalla malinconica accettazione di quanto certi sogni siano irrealizzabili, dall’amarezza dei rimpianti, sboccia il senso di una realtà nuova, più profonda – degli affetti e delle identità. Quando, il mattino dopo – e dopo la tempesta- i personaggi escono alla luce del sole, nessuno è cambiato. Però è tutto diverso.