Con la cerimonia di chiusura e la proiezione di Legacy di Yann Arthus-Bertrand, che ha ricevuto il premio speciale Movies Save the Planet assegnato a «un artista che ha saputo declinare nella sua opera il tema dell’ambiente e della natura», si è conclusa ieri sera la 24a edizione di CinemAmbiente, il festival torinese che fin dagli esordi si è posto la missione di indagare tematiche ambientali e ecologiche divenute nel tempo di sempre più stretta attualità. Film da tutto il mondo per riflettere, discutere, confrontarsi tenendo conto che, come sottolinea il direttore Gaetano Capizzi, «il cinema ambientale ha avviato una transizione significativa. I film realizzati oggi non fanno più plausibili profezie (puntualmente avverate) ma registrano l’esistente». Cambiamenti che i titoli del festival (visibili gratuitamente fino al 13 ottobre sulla piattaforma OpenDDB previa prenotazione sul sito www.cinemambiente.it) declinano in una varietà di sguardi e prospettive. Possono così coesistere, tra i documentari del concorso internazionale, un’opera di attenta osservazione del reale come Fish Eye e una di assoluta militanza anarchica come Fuck for Forest – First Years (un discorso a parte lo meriterà il magnifico Isole di Mario Brenta e Karine de Villers).

Set di Fish Eye dell’iraniano Amin Behroozzadeh è un peschereccio di dimensioni industriali in transito nell’Oceano Indiano e dedito prevalentemente alla caccia del tonno. Siamo in mezzo al mare eppure confinati negli enormi spazi claustrofobici di una nave dalla quale non si può scappare, vero e proprio luogo di reclusione per i pescatori, provenienti da vari paesi africani, e i cinque comandanti iraniani che vi trascorrono lunghi periodi. Ed è sull’attesa che Behroozzadeh si concentra. Il lavoro di caccia, gli strumenti utilizzati, il bottino riversato sulla piattaforma, entrano in campo a film inoltrato. Prevale, per tutta la durata, e si imprime nelle inquadrature, la concretezza di un tempo sospeso che bisogna riempire: riposando nelle cabine, scrivendo o cercando di telefonare a casa, pregando insieme, guardando la televisione, cucinando, pranzando, festeggiando un capodanno con una torta…

GESTI, TANTI, e parole, poche. E quando queste ultime ci sono, spesso vengono sommerse dal rumore dei motori, del mare. Prende spazio invece un vociare stratificato. Behroozzadeh osserva tutto ciò, non chiede, filma da vicino gli uomini evitando forzature formali, ponendosi al loro livello, come se fosse uno di loro. Sta qui la potenza, la visionarietà, di un film che alla descrizione degli ambienti della nave alterna quella a tutto schermo dell’oceano, liscio o increspato, dove i pesci danzano a fior d’acqua, e quella della massa del pescato, filmata in dettaglio, un unico corpo ancora vivo/già morto, segno di un’attività condotta su vastissima scala. Una visionarietà alimentata anche dall’ottima colonna sonora elettronica composta dallo stesso regista (che nasce come musicista e qui esordisce nella regia) e che di Fish Eye è direttore della fotografia e montatore.

Un cinema alla prima persona, autogestito, provocatorio, è quello che fanno, come capitolo del loro percorso di attivisti prima che di attori e registi, i norvegesi Tommy Hol Ellingsen e Leona Johansson. Fuck for Forest – First Years fa parte di un progetto porno-ecologico avviato nel 2004 con la fondazione dell’organizzazione no profit Fuck for Forest, ovvero mettere in cortocircuito le istanze della rivoluzione sessuale e della causa ambientale (focalizzata sulla protezione delle foreste pluviali e delle comunità amazzoniche) e farsi promotori di un fare sesso libero e in pubblico uscendo dalle alienazioni imposte dalla società.

PERFORMANCES in festival, club, nella foresta ecuadoriana come per le strade di Berlino insieme a chi ha deciso di aderire al progetto e partecipare alle orge organizzate all’aria aperta. Per trovare un nuovo equilibrio tra corpo e natura e interagire con culture e danze indigene. Finanziandosi con i proventi del sito porno che documenta il loro attivismo (malvisto da molte associazioni per l’ambiente).

Una sfida che era già stata raccontata nel 2012 dal cineasta polacco Michal Marczak, autore di Fuck for Forest. Ora, Ellingsen e Johansson hanno scelto di ripercorrere questa loro quasi ventennale esperienza filmando e filmandosi, realizzando un film che riesce a comunicare la loro energia ricorrendo a una continua frammentazione visiva che richiama il videoclip e si ri-attiva all’infinito, come (in) un loop che però accoglie e accumula sempre ulteriori segmenti di quel rituale consacrato alla liturgia sessuale e ambientalista officiata dalla coppia e dai loro numerosi adepti.