C’era una volta, tanto tempo fa, nella magica Terra Blu dei Munchkin – paese dei Succhialimoni – un taglialegna di nome Tin. La malvagia strega dell’Est gli era nemica e lo aveva condannato a un triste destino: cadere sotto i colpi della sua stessa ascia. Il suo giovane corpo subì tremende amputazioni e fu solo grazie all’aiuto di un abile fabbro che venne ricomposto e trasformato in un boscaiolo di latta, senza più sogni né un cuore nel petto.
A rileggere oggi le pagine di quel capolavoro della letteratura per ragazzi che è Il meraviglioso mago di Oz, pubblicato da Lyman Frank Baum nel lontano 1900, è impossibile non pensare a un robot. L’uomo di latta è un robot. Che altro potrebbe essere? C’è in lui, seppure in forma caricaturale e rozza, il disturbante antropomorfismo di un robot umanoide. L’intelligenza lucida e vuota di emozioni che ci spaventa nelle pellicole di fantascienza al cinema. L’inarrestabile efficienza che solo le macchine sanno garantire. Certo si potrebbe dire che l’uomo di latta non è nulla se messo a confronto con uno dei sofisticatissimi robot positronici prodotti dalla U.S. Robots & Mechanical Men Corporation, e che Isaac Asimov descrive nell’antologia di racconti Io, robot del 1950.

Ma andiamo oltre. Perché non provate invece a pensare a un androide organico, costruito con tecniche di ingegneria genetica con il preciso scopo di renderlo indistinguibile da un uomo. Immaginate: un replicante. Ecco. Come quelli della serie Nexus 6, prodotti dalla Tyrell Corporation e descritti da Philip K. Dick nel romanzo che fa da sfondo al capolavoro di Ridley Scott, Blade Runner del 1982. È riduttivo considerarli semplici macchine «evolute». Possono sviluppare emozioni proprie: rabbia, amore, paura. Loro ce l’hanno un cuore, non sono come l’uomo di latta di Baum. Come fare dunque? Mentre vanno incontro alla morte programmata che un progettista ha scelto per loro i ricordi di un replicante non sono che momenti perduti nel tempo, lacrime nella pioggia. Cose che noi umani non possiamo nemmeno immaginare.
E se non possiamo immaginarle un motivo c’è: le conoscenze di cui oggi disponiamo non ci permettono di dare vita a intelligenze artificiali anche lontanamente somiglianti a quelle descritte dalla letteratura fantastica che riempie gli scaffali di noi vecchi amici dell’uomo di latta.

I robot sono fra noi. È vero. Ma non certo nella forma che avremmo immaginato. Abbiamo robot domestici che aspirano briciole e polvere dal nostro pavimento di casa. Robot chef capaci di cucinare ogni genere di lecconia se solo mettiamo a loro disposizione gli ingredienti da lavorare. Robot manutentori che tengono d’occhio il tablet o lo smartphone che ci portiamo appresso tutti i giorni. Minuscoli nanorobot capaci di eseguire movimenti di estrema precisione come nessuno. Macchine da pronto soccorso costruite per contenere l’emergenza: dagli incendi alle alluvioni, dai terremoti ai naufragi. Robot chirurghi per assistere meglio il malato in sala operatoria. Robot da indossare per acquistare forza e resistenza o, magari, perché fa glam. L’invasione di macchine intelligenti nel mondo che abitiamo è iniziata decine di anni fa. Robot operai hanno sostituito milioni di uomini svolgendo le stesse mansioni in modo più veloce, efficace ed economico. La robotica si è ritagliata una propria autonomia come disciplina a sé stante e oggi rappresenta un ambito della scienza in fortissima espansione. Da essa dipende molto del nostro benessere quotidiano: abbiamo droni che verificano costantemente lo stato di salute in cui versano ambiente e foreste, vigilantes elettronici che garantiscono la sicurezza nei centri urbani, robot artificieri «addestrati» a disinnescare ordigni, automi impiegati nella produzione di energia rinnovabile, netturbini hi-tech che si occupano della raccolta differenziata, esoscheletri elettronici e protesi intelligenti grazie ai quali vittime di incidenti stradali e disabili possono tornare a camminare.

Vogliamo parlare dell’esplorazione spaziale? Un lavoro quasi completamente riservato ai robot. Sono cinque le sonde robotiche in orbita attorno a Marte, sei con ExoMars – la missione europea che a giorni dovrebbe infilare l’orbita del Pianeta rosso. Ma fra rover, lander, strumenti e archibugi d’antan, l’invasione pacifica di tecnologia umana sulle lande marziane racconta una storia lunga 50 anni. Sono trascorse poche ore dacché la sonda robotica Rosetta (che per la prima volta nella Storia ci ha portati a cavallo di una cometa) ha concluso la sua straordinaria avventura tuffandosi nella pancia di 67P/Churyumov-Gerasimenko. Appena un secondo prima di toccare la superficie della cometa, Rosetta ha spento per sempre i suoi strumenti. Di lei non sapremo più nulla. Forse in questo frangente potrebbe essere utile ascoltare l’opinione di Harry Shtarr, il miliardario eccentrico protagonista del racconto illustrato Gli esploratori dell’infinito di Yambo, alias Enrico Novelli.

Ma se l’idea di partire all’esplorazione del Sistema solare chiedendo uno strappo a un asteroide di passaggio vi sembra campata in aria, forse dovreste leggere le dichiarazioni appena rilasciate da Elon Musk al Congresso Astronautico Internazionale. Il creatore di PayPal, miliardario eccentrico (anche lui) e amministratore delegato di SpaceX – azienda aerospaziale prime contractor NASA – ha rilanciato il sogno marziano con una proposta di viaggio sola andata. Fate dunque conto di cascare dentro una di quelle storie che avete sentito raccontare da bambini. Capitolo per capitolo, procedendo con la lettura, se l’incantesimo funziona, sarete spettatori della più baldanzosa processione del brulicame fantastico: quella degli scienziati che instancabilmente lavorano per lasciarvi a bocca aperta con un finale da fuochi d’artificio.