I Uochi Toki fin da subito hanno deciso di porsi pochi limiti. Il duo rap, non collocabile in modo definitivo né geograficamente né musicalmente, nomade per spontanea inclinazione, ha sempre cercato di seguire un percorso originale, quanto più possibile autarchico. Libero da stereotipi legati ai generi, da limitazioni date da supporti fisici, dall’identità stessa di una realtà musicale che Napo e Rico intendono come un’ininterrotta evoluzione. Il limite valicabile, loro decimo album, non fa eccezione: il minutaggio che supera le due ore, un doppio cd, Un disco rap più legato alla forma canzone, dove il duo dimostra di essere cresciuto, scegliendo però di seguire una strada propria (folgorati dalla scoperta dell’elettronica degli Autechre), con l’idea precisa di suonare la musica che loro per primi vorrebbero ascoltare e che ancora non c’è.

Le molte collaborazioni presenti nell’album vanno in questa direzione, sono esperimenti, prove di scrittura che cambiano il brano in base al contributo dell’artista ospitato, come Zona Mc, il coltissimo Murubutu. «Magari non sono delle collaborazioni formalmente perfette» spiega Napo, voce della band, «abbiamo cercato di non tagliare nulla di quello che hanno messo i nostri ospiti. A volte i risultati sono un po’ debordanti rispetto alla forma canzone, il pezzo con Miike Takeshi ad esempio è quasi un ep a sé. Sono comunque molto contento di come hanno scritto tutti, mostrano qualcosa di diverso da quello che facciamo noi».

Il limite valicabile (copertina opera del fumettista Dr. Pira) è pieno di stimoli. «Ci siamo detti che per chi ascolta questo disco ci vorranno almeno tre anni a sviscerarlo tutto. Così noi in questo periodo avremo tempo per pensare ad altre cose». Tipo? «La forma disco è arrivata alla fine, è una sorta di limitazione. Ci è capitato ad esempio di fare dei live di sola elettronica e disegno, senza parole (Napo è anche illustratore, con il nome di Lapis Niger, nda). Non tutti la prendono bene, ma c’è chi capisce che alla fine siamo sempre le stesse persone».

Non siete di certo musicisti che si adagiano su una formula collaudata. «Il fatto è che noi cambiamo idea. Finito di fare un disco non sappiamo cosa succederà. A volte capita di sentire la pressione di dover cercare cose nuove. Noi però sappiamo benissimo che le novità verranno sicuramente da persone che in questo momento non conosciamo. Non aspettiamo altro che arrivi una band, un artista, che stravolga completamente quello che abbiamo creato, sarebbe una cosa grandiosa». L’unicità della vostra musica quanto è influenzata anche dall’isolamento che avete cercato?

«Per noi non conta tanto costruire qualcosa in un luogo sulla terra, ma costruire qualcosa che possa riterritorializzarsi ovunque. Nel momento in cui qualcuno decide di difendere un luogo, questa persona deve stare ferma. Esistono altre vie, si possono creare delle cose che non necessitano di essere difese, questa è l’idea che abbiamo io e Rico. Potete prendere tutto quello che abbiamo fatto, spaccarlo e ridurlo a pezzettini, non c’è nessun problema, anche perché veniamo da posti in cui non c’è proprio nulla da difendere».