Nella allucinata ed irreale atmosfera della crisi sanitaria da Coronavirus parevano dimenticate le combattutissime questioni della architettura istituzionale dell’Unione europea. Fino a questi giorni, dove si intravede una accelerazione improvvisa.

Va premesso un dato tanto banale quanto fondamentale: piove sul bagnato.

Sulle pagine di questa rubrica abbiamo avvertito numerose volte che molti indicatori avvertono che l’economia internazionale in questi ultimi 10 anni non è stata resa più solida; gli interessi dei più ricchi e dei profitti finanziari sono stati tutelati al costo di tornare ad un livello di rischio globale preoccupante.

Nel 2019 gli scricchiolii sono diventati assai forti: le Nazioni Unite nel rapporto su Situazione Economica mondiale e Prospettive 2020 facevano presente che nel 2019 si era registrata la peggiore crescita del PIL e del commercio mondiale dalla crisi 2007-08. Poi, come si sa, è arrivato il Coronavirus. Il rapporto delle Nazioni unite è del 16 gennaio; una breve nota di Unctad del 4 marzo mostra come la flessione dei traffici fosse già visibile a metà 2018 e che fra gennaio-febbraio è diventata catastrofica.

Se la tendenza mondiale è preoccupante, va ricordato che quella dell’Unione europea e dell’eurozona in particolare è stata ancora peggiore, ed è qui l’epicentro della crisi sanitaria.

Il professor Brancaccio ha scovato uno studio della Commissione del 2006 che faceva una previsione sulla possibile caduta dell’economia in caso di pandemia con caratteristiche abbastanza simili a quella attuale, ed il risultato era di una possibile caduta del PIL fra -2/4%. Cifre simili a quelle della Grande Recessione (PIL Ue 2009 -4,2%, eurozona -4,5%).

È evidente che per attutire la mazzata i governi europei dovranno allargare i cordoni della borsa e sostenere maggiori spese : tanto subendo un minor prelievo fiscale per la conseguente restrizione della base imponibile, che per sostenere ammortizzatori sociali per i lavoratori e aiuti straordinari per le imprese; tanto che da un iniziale intervento di 7 mld si è dopo poco arrivati a ipotizzare la cifra di 25 mld.

In un contesto come questo che vede le casse dello Stato messe sotto pressione torna il nodo dei vincoli comunitari alla finanza pubblica e il ruolo della banca centrale.

Da qui il susseguirsi di annunci di politiche monetarie espansive, quasi frenetici: la statunitense Fed annuncia una iniezione di liquidità di 1500 miliardi, la Bank of England abbassa i tassi di interesse di 50 punti. Lagarde a capo della Bce cosa dice invece? «Non siamo qui per ridurre lo spread, per quello ci sono altri strumenti e altri attori».

Una dichiarazione universalmente presa negativamente, da alcuni con sgomento, da altri con rabbia, tanto da spingere il compassatissimo Presidente Mattarella ad emettere una nota dai toni piuttosto irritati e a portare aria critica persino tra i deputati fedeli a Renzi!

E’ sotto gli occhi di tutti che se la Bce si defila dal ruolo di controllo dell’indebitamento degli Stati (che i liberisti vogliono cedere ai mercati) la palla passa al Meccanismo Europeo di Stabilità, la cui riforma è in cantiere da tempo e che vedrebbe crescere catastroficamente il suo protagonismo.

Nell’ordine del giorno della riunione del 16 marzo la riforma del Mes è al primo posto. È vero che la Bce ha cercato di riparare alla infelicissima risposta del suo Presidente, ma lo shock della crisi sanitaria può davvero portare a far deragliare l’intera baracca e se davvero c’è il retropensiero di usare il sostegno della Bce come contropartita con un infame ricatto per imporre il nuovo assetto comunitario non si sa come può andare a finire.