Fra gli autori nati in Giappone subito dopo la Seconda Guerra mondiale, Teru Miyamoto è uno di quelli che, pur avendo un seguito che continua da decenni in patria e in altri paesi asiatici, fino a ora non era mai stato tradotto nella nostra lingua. L’uscita della raccolta Bagliori fatui (Edizioni Carbonio, trad. Paolo Villani, pp.153, euro 15,50) colma questa lacuna. Nelle storie qui presentate l’autore giapponese porta molte delle sue esperienze autobiografiche, un’infanzia passata nella zona del Kanto, fra Osaka e Kobe per intenderci, fra continue difficoltà economiche e famigliari, aggiungendo a questo sostrato quasi neorealista e talvolta comico, una tonalità malinconica.

IL MONDO CHE EMERGE dalle otto storie raccolte nel volume è quello di una classe operaia senza lavoro o impoverita, dove i legami famigliari violenti e le speranze per il futuro sono sempre sul punto di crollare e disfarsi. Vengono descritti così paesaggi umani e urbani dimenticati, quando non creati, dal miracolo economico che portò il Giappone degli anni sessanta di nuovo fra le nazioni che conta. L’infanzia di molti dei protagonisti è tarpata dalla violenza e dalla povertà delle aree popolari in cui cerca di schiudersi, e spesso si incrocia con sacche di umanità senza speranza. In una delle scene più riuscite descritte nel racconto Morire e rinascere migliaia di volte al giorno, i senza lavoro che dormono per strada a Kamagasaki, uno slum di Osaka, all’alba seguono i due protagonisti in bicicletta credendoli dei caporali venuti a offrire impiego, come degli zombi risvegliati dal loro torpore.

TUTTI I RACCONTI, pubblicati fra la fine degli anni 70 e la metà degli 80, sono scritti come reminescenza di periodi passati, spesso l’infanzia e la gioventù, oppure un periodo felice della vita adulta nella storia che dà il titolo alla raccolta, Bagliori fatui.

FRA «CATAPECCHIE che puzzano di povertà a prima vista», sale di mahjong, alcolismo, violenza famigliare e soprusi scolastici, c’è poco del Giappone patinato e luccicante che veniva venduto dai media all’epoca rimembrata dall’autore o nel periodo in cui i racconti furono pubblicati. Sono storie toccanti, alcune più riuscite di altre, dove l’indigenza economica spesso sconfina in una disperazione esistenziale che sfiora la morte. Le vite sono così travagliate fin dalla più tenera età che portano una delle protagoniste di uno degli ultimi racconti, La matita per le sopracciglia, un’anziana donna di 70 anni, a confessare alla figlia: «Non darti pensiero, tu. Per mamma, vivere o morire fa lo stesso. Va bene comunque. Dico davvero». La morte, declinata in perdita e assenza della persona amata, forma anche il centro tematico attorno al quale si sviluppa il racconto più lungo, Bagliori fatui.

STORIA CONOSCIUTA in Occidente per la sua trasposizione cinematografica diretta da Hirokazu Kore’eda nel 1995, la novella è narrata in prima persona da una giovane vedova che si rivolge con affetto al marito, morto suicida sette anni prima. Rammentando i momenti passati insieme dai due e dal piccolo figlio neonato prima della tragedia, i toni working class si intrecciano con atmosfere molto diverse, pur svolgendosi in un contesto sociale simile a quello presente negli altri racconti. Innanzitutto, pur se costretti a sopravvivere fra lavori saltuari e stratagemmi, scopriamo come la loro quotidianità fosse anche impregnata di luce e momenti di felicità. In secondo luogo, la scrittura di Miyamoto si fa più elegiaca e struggente, a partire dalle descrizioni dell’aspro paesaggio costiero del villaggio dove si trova ora la donna e della luce in cui è immerso. In questo senso, il racconto non solo è il più riuscito della raccolta, ma riassume la poetica che attraversa quasi nascosta tutto il libro, una poetica che evoca un senso di profonda malinconia e dolore esistenziale inespresso.