Irène Jacob o la si ama o la si odia. Chi la ama la ricorda nelle pellicole di Krzysztov Kiéslowski, protagonista de La doppia vita di Veronica, 1991, che le valse a venticinque anni il premio di migliore attrice protagonista al festival di Cannes; Tre colori – Film Rosso, 1994, e l’ha seguita anche in prove meno felici (Al di là delle nuvole di Antonioni). Chi la odia la ricorda nei medesimi film per quella tendenza, leggermente francese, a sembrare gatta morta (tipologia di donna assai detestata dalle altre donne – posso confermare personalmente in quanto appartenente al genere femminile). Io che l’amo, la seguo e la stimo come attrice, ho apprezzato follemente la sua comparsa nella terza stagione di The Affair (serie americana scritta e ideata da Hagai Levi e Sarah Treem).

Nel ruolo di una professoressa di letteratura francese studiosa del ciclo bretone di passaggio per un semestre in una università americana, la Jacob (Juliette Le Gall) incontra il protagonista maschile della serie, Noah Solloway (un sexy e disperato Dominic West), in un momento di grande difficoltà personale: fresco di lutto paterno, appena uscito di galera, in libertà vigilata. Il personaggio di lei compare all’inizio, nella prima puntata della terza stagione, e alla fine, nell’ultima, a chiudere il cerchio.

Nelle otto puntate centrali avviene qualsiasi altra cosa: il protagonista impazzisce, ritorna a farsi curare dalla moglie, ha continue allucinazioni che prende per vere, gli altri personaggi intorno – moglie, ex amante, ex carceriere, figli vari – agiscono mossi da inquietudine, declino, senso di tragedia: tutto fa sì che ci dimentichiamo di Irène e dell’attrazione fatale avvenuta tra i due.

Invece, come un deus ex macchina, la prof. Le Gall viene usata dagli sceneggiatori, con un coup de théâtre, a riacchiappare le fila di una trama che si era fatta, più volte, troppo ingarbugliata. La donna beneficia l’uomo di un sentimento amoroso, complesso e complicato dalla presenza di un marito francese anziano in preda all’Alzheimer, e attraverso un viaggio a Parigi, stabilizza l’umore di Noah, prototipo plurisfaccettato di scrittore maledetto. Juliette Le Gall è un personaggio scritto sapientemente: specchio femminile di bugie, stratificazioni di sentimenti, desideri rimossi, follie desiderate e inespresse. Figura letteralmente salvifica: è lei che trova l’uomo accoltellato alla gola alla giugulare nel buio di una cucina sozza di un appartamento per studenti fuori sede, ed è ancora lei che, nell’ultima puntata, lo conduce verso una convalescenza e un ritorno sulla retta via, verso i buoni sentimenti, una ipotesi di riappacificazione con la famiglia originaria.

Senza le banalità stereotipate che fioccano spesso nella cultura americana, la Jacob interpreta un personaggio portatore di cultura e femminilità europee, dolce nei tratti estetici dell’attrice (ancora splendida appena varcata la soglia dei cinquant’anni), sensuale e ruvido per la forza di carattere con cui affronta le difficoltà della vita, divenendo modello che segna il cambiamento di rotta, la strada giusta, la positività. Forse questa sua caratteristica pacificante le è dovuta alla morbidezza del viso, agli occhi dal taglio allungato, al sorriso da Monna Lisa: il maestro polacco Kiéslowski, d’altronde, la scelse giovanissima per il conturbante doppio ruolo di Weronika e Veronique, due fanciulle, una polacca e l’altra francese, accomunate dall’abilità nel canto e da un cuore debole.

La vulnerabilità ambigua le è consona e gli americani ci hanno visto giusto nel prediligerla per il cast di The affair 3. Sperando di rivederla nella quarta stagione, promessa su carta, mi affretterò a recuperare sue prove d’attrice in pellicole perdute non pervenute in Italia. Caldeggio di fare lo stesso.

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