Quanto accaduto a Boccea, alla vigilia delle elezioni, è un’occasione che i soliti «imprenditori dell’intolleranza» non si sono fatti sfuggire. È infatti prontamente scattata la becera strumentalizzazione da parte di certa stampa e di certi politici, che si sono avventati sulla tragedia proprio come quegli imprenditori che, mentre L’Aquila crollava sotto il terremoto, ridevano al pensiero dei guadagni che quella disgrazia avrebbe fruttato.
Lucrare sulle tragedie, e sulla pelle dei più deboli, continua a essere un esercizio redditizio nel nostro Paese. Sia economicamente, come ha dimostrato Mafia Capitale, sia elettoralmente, come conferma la propaganda xenofoba di Salvini e Meloni.

A smascherare la speculazione politica sull’episodio di Boccea bastano pochi dati: quelli sulle vittime dei pirati della strada, che vedono la Capitale pagare un tributo tra i più alti. Nel nostro paese il 76% dei pirati della strada è italiano e l’11% delle vittime è straniero, come la donna di origine filippina morta ieri a Roma. A smentire invece i fanatici dell’«emergenza rom» – dettata solo da interessi politici ed economici – sono sufficienti i dati sulla presenza rom a Roma: 7.000 cittadini circa, pari allo 0,002% della popolazione, molti dei quali italiani o divenuti apolidi con le guerre nei Balcani.

La soluzione delle «ruspe», che di quell’emergenza creata ad arte rappresenta il complemento perfetto, è il solito colpo di coda di una politica avariata che determina prima delle elezioni un drammatico ‘gioco dell’oca’: sgomberi e trasferimenti di insediamenti da un quartiere periferico all’altro, piani emergenziali fallimentari con la costruzione di enormi campi o centri di raccolta, come quelli inaugurati a partire dal 2008 dal ministro leghista Maroni e dal sindaco Alemanno durante il governo Berlusconi.

Alla vulgata leghista non basta però rispondere con l’«umanitarismo», che è stato il perno, dalla giunta Veltroni in poi, di un sistema fallimentare, ostaggio di clientele e sprechi.

Serve invece la credibilità di politiche basate su risultati tangibili, a cui giungere attraverso un percorso trasparente e monitorato. L’obiettivo deve essere dichiarato: abbandono dell’approccio assistenzialista e fine delle istituzioni segreganti, dai campi rom ai grandi centri per migranti.

Per questo noi Radicali abbiamo deciso di partire, proprio da Roma, con due proposte di delibera popolare che lanceremo nei prossimi giorni. Una delibera per vincolare tutte le risorse fino a oggi sperperate (24 milioni di euro spesi nel 2013) a beneficio di chi ha lucrato sui campi rom a favore di un piano d’integrazione abitativa, scolastica e lavorativa con tempi e tappe stabilite, sul modello di quanto è accaduto in questi anni in altre metropoli europee. L’altra per definire, per richiedenti asilo e rifugiati, politiche di accoglienza e inclusione efficaci e monitorate che si basino su centri di dimensioni contenute e piccoli gruppi, per avviare percorsi reali di scambio e d’inclusione nel territorio.
Due proposte che rappresentano l’unica risposta all’incapacità della politica di affrontare la sfida dell’integrazione.

*L’autore è presidente Radicali italiani e consigliere comunale a Roma