«Amici miei, diffidate di coloro che mostrano una forte propensione a punire!». Così parlava lo Zarathustra di Nietzsche. E di costoro, nella stagione dell’allucinazione securitaria e disciplinare, l’Italia è stata sovraffollata quanto le sue galere. Dai sindaci sceriffi (di destra e di sinistra), alle maggioranze parlamentari, ai presidenti della repubblica che firmavano senza battere ciglio leggi infami. Da ogni angolo del paese si reclamava la «certezza della pena». Non altrettanto successo riscuoteva la “certezza” che questa pena non assumesse forme degradanti e disumane.
Come è poi puntualmente accaduto nell’indifferenza generale, quando non in consonanza con lo spirito di vendetta dei peggiori istinti popolari. Fino al punto in cui Giorgio Napolitano, di fronte alla condanna europea di una condizione carceraria spintasi ben oltre qualsiasi soglia di sopportabilità, rimetteva in campo la questione urgente dell’indulto e dell’amnistia. Trovando questa volta ascolto in un centrodestra destabilizzato dalla vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi. E scontrandosi con le barricate punitive erette dalla Lega e dal Movimento 5 stelle.
Converrà allora sgomberare il campo dagli equivoci e dalle apparenze. Il fatto che il cavaliere possa trarre vantaggio da una misura di indulto o di amnistia ( circostanza per nulla certa) è solo un pretesto. La verità più profonda è che entrambe queste forze politiche non vogliono che nessuno esca di galera quali che siano le condizioni della sua detenzione. Se da parte leghista la moltiplicazione dei reati e l’inasprimento delle pene costituiscono una solida tradizione forcaiola, da parte grillina è un culto del tutto acritico della legalità vigente e la pulsione a contrastare in termini più punitivi che politici i privilegi della “casta” a ispirare la guerra santa contro indulto e amnistia. Fino a partorire la brillante idea di riaprire l’Asinara, la nostra Guyana sarda, e Pianosa. Il vernacolo dei nostri Savonarola, piazzaioli e cittadini-parlamentari non fa che veicolare, rinvigorendolo, un vecchio ritornello: «In galera ci stanno i delinquenti ed è bene che ci restino». E’ questa subcultura punitiva, dominata dalla frustrazione e dal risentimento, il primo nemico da battere. L’idea di colpirne 64.758 per punirne uno. Non riesco a immaginare un terrorismo abbastanza efferato da immaginare anche lontanamente una siffatta proporzione.
Non vi è dubbio, tuttavia, che i voti del centrodestra a favore di un provvedimento di indulto o di amnistia siano vincolati al fatto che questo comporti, almeno parzialmente, una via di uscita per Berlusconi. Questa è la realtà della politica, questi i rapporti di forza parlamentari. Questa, infine, la situazione da sfruttare, se si hanno a cuore le sorti delle tante vittime di politiche sciagurate. Come? Presentando a un centrodestra forzatamente converito al garantismo e all’indulgenza il conto più salato possibile: abolizione della Bossi-Fini (qualora non bastasse la strage di stato a Lampedusa), abolizione della Fini-Giovanardi (la legge riempi-galere per eccellenza), abolizione della ex-Cirielli (la legge che marchia a fuoco la recidiva), abolizione del reato (ereditato dal fascismo) di “saccheggio e devastazione”, abolizione dell’articolo 41bis (carcere duro), introduzione immediata del reato di tortura. Esattamente tutto quello che i 5 stelle e la Lega, Berlusconi o non Berlusconi, aborriscono (in tutto o in parte per quanto riguarda M5S), che il Pdl dovrebbe ingoiare a fatica e suo malgrado, e che il Pd volentieri sacrificherebbe sull’altare della “responsabilità” e degli umori di un elettorato che ha ampiamente contribuito a diseducare in un ventennio di antiberlusconismo parolaio. Non cogliere, pur nelle sue forme spurie, compromissorie, strumentali e perfino ciniche, questa imprevista occasione di civilizzazione del paese sarebbe un delitto. Essendo, fra l’altro, la resurrezione politica del Cavaliere (non la tenuta della sua dottrina e della sua pratica, solidamente radicate nel paese) piuttosto improbabile.
Ma il quadretto edificante dell’Italia punitiva e caritatevole non sarebbe completo se ai manettari non si affiancassero i “redentori”, quelli che reclamano in affidamento il Berlusconi condannato, certi di poterlo convertire e rieducare. Dopo il revenant Mario Capanna, è giunta la proposta di don Antonio Mazzi che lo vorrebbe nella sua comunità Exodus per togliersi la soddisfazione di «tirarlo giù dal letto» e mandarlo a «pulire i bagni». Non un tossicodipendente qualsiasi, ma il più mastodontico dei cammelli da far passare attraverso la cruna dell’ago. E’ proprio vero, per tornare al nostro Zarathustra, che dietro la maschera della carità si celano orgoglio e presunzione, che attraverso la retorica dell’umiltà si insinua il potere sadico di umiliare. Al quale ci auguriamo che Berlusconi sia sottratto, insieme all’ultimo tossicodipendente perseguitato dalla Fini-Giovanardi.