Nel centenario della nascita del primo cruciverba Paolo Bacilieri pubblicava il primo volume dal titolo emblematico, Fun (Coconino Press, 2014) sulla storia del cruciverba. Emblematico perché è anche il nome dell’omonimo inserto domenicale del New York World dove, nel 1913, il gioco fa la sua prima apparizione. Da quella pubblicazione, il gioco inizia ad essere ispirazione per innumerevoli enigmisti, fino a che 10 anni dopo, nel 1924 gli editori Simon&Schuster ne intuiscono il potenziale commerciale e creano un libro di crosswords, innescando quella miccia che farà definitivamente scoppiare la cross word craze, la cruciverba mania. Un secolo lungo per un dettagliato resoconto a fumetti, che sfocia in un secondo volume, More fun (Coconino Press, 2016), dove la storia dell’arte enigmistica strizza l’occhio alla ricerca autoriale, in un raffinato gioco meta letterario e dove alla rigida scansione quadrettata del cruciverba, Bacilieri risponde con una totale libertà espressiva. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Sin dall’inizio il tuo romanzo ha una prospettiva storica, resa molto più profonda e raffinata dal narratore che scegli, il coltissimo professore Pippo Quester, felice doppio del compianto Umberto Eco. Perché questa scelta?
Dunque, si tratta di una di quelle idee dettate dalla disperazione che alla fine risultano, col famoso senno di poi, le uniche sensate. Il personaggio Pippo Quester esisteva ma non aveva ancora un corpo una fisicità (quindi in fondo non esisteva): l’ho cercato a destra e a manca e alla fine, dopo vari tentativi falliti, ho provato a “rubare” la faccia (versione con soli baffi) e il corpaccione di Eco e, bum! eccolo saltar fuori al primo colpo! Bello, naturale, disegnabilissimo. Tutte le altre considerazioni, quanto fosse giusto usare Eco e non Pincopallino, in realtà sono appunto venute dopo.

Non sei nuovo ai giochi metaletterari: se in Sweet Salgari trovavamo lo scrittore protagonista alle prese con la creazione dei suoi capolavori, con Pippo Quester ti spingi oltre. Sappiamo della passione semiologica di Eco per le parole crociate e l’enigmistica, passione che diventa oggetto di finzione nel tuo romanzo. Parlaci delle invenzioni di cui hai dotato la vicenda, come la stesura del libro di Quester, o la sottotrama poliziesca…  
 
Fun e More Fun sono libri a strati. C’è la parte storica, c’è una parte fatta di tante piccole storie e storielle incrociate, caratterizzate dal colore, e poi ci sono Zeno e il professor Pippo Quester: la loro funzione è (anche) quella di “collante” tra le due parti, Storia e storielle.  Ho cercato di inspessire questo collante con varie cosette che A- mi piacciono B- mi sembravano pertinenti ( le connessioni di lunga data tra cruciverba e poliziesco non le ho certo scoperte io!)

Accanto a Pippo Quester troviamo di nuovo Zeno Porno, il tuo alterego narrativo. Siamo di fronte a una specie di autofinzione: in fondo Zeno fa ricerca per conto di Quester, e Paolo, come autore, indaga la stessa materia, la storia del cruciverba. Puoi parlarci di come avviene il tuo processo di creazione in mezzo a tutta questa pluralità di voci?

Sui miei libri lavoro in un modo che potrebbe sembrare confuso e forse lo è: non c’è una separazione netta tra scrittura e disegno, non c’è sceneggiatura, ci sono degli scarabocchi, appunti e una variabile quantità di materiale, documentazione visiva, testi… Anche in questo caso è andata così, con le complicazioni dovute alla natura enigmistica del progetto. Magari potevo attenermi alla parte storica, attenermi a raccontare la vicenda del cruciverba, facendo un onesto saggio a fumetti, credo però valesse la pena di complicarsi la vita con un approccio più creativo, una ricerca visiva e narrativa sul tema fumetto-cruciverba.
Zeno Porno è un vecchio personaggio molto duttile, che conosco bene, (io mi dico sempre: non sono io, sono anch’io) e anche in questo caso mi è stato utile per mantenere la rotta nel marasma.

Come si situa in questo contesto L’orizzonte verticale, il libro di Stefano Bartezzaghi da cui hai tratto ispirazione per il tuo lavoro?

Stefano, e ancora di più il libro di Stefano è stato senz’altro fondamentale per me: vi ho trovato un sacco di personaggi fantastici, aneddoti ad alto tasso di “fumettabilità”. Si tratta di un saggio straordinariamente esaustivo e ben scritto, ne ho letti altri in lingua inglese, come quello, più vecchio, dal buffo titolo: What’s gnu?A history of cross word puzzle di Michelle Arnot.

Zeno è spesso protagonista, insieme ad altri personaggi, delle storie intercalate, uniche parti a colori di una storia rigorosamente (a quadri) in bianco e nero, che supponiamo essere vicende di ispirazione autobiografica. Sono come piccoli apocrifi, dove né Zeno, né Pippo Quester sono autori né narratori. Da dove hai tratto ispirazione per queste parti?

Queste storielle caratterizzate dal colore, in parte esistevano già, effettivamente alcune di esse contengono elementi autobiografici. Le ho prese un poco a “martellate” per incastrarle nel libro, mi sembrava avessero due caratteristiche che le rendevano ideali, incrociabili: una certa uniformità, stilistica e narrativa, si somigliano abbastanza, e una forte specificità, ognuna racconta un fatto o fatterello limitato, definito e circostanziato, sono un poco”a cazzo”, come definite, circostanziate e “a cazzo” sono le parole crociate di un cruciverba.

Colpisce la tua libertà espressiva che si avvale di numerose tecniche narrative, contro il rigore grafico e i dettagli minuziosi che invadono le tue tavole. Che relazioni hai trovato tra le griglie dei cruciverba e quelle del tuo fumetto?
Come detto, ma più in generale, la cosa più interessante e profonda è questa “incrociabilità” che nel fumetto, a differenza del cruciverba, rimane “linguaggio”, diegetica.

Il tuo è un fumetto pieno di simbologie (penso al nome del professor Quester-letteralmente “chi effettua una quest, una ricerca) e di citazioni, esplicite o implicite (da Faulkner, a Dick Tracy, a quella vignetta che riproduce una foto di Vivian Maier). In più appaiono moltissimi intellettuali-oltre a Eco- come Georges Perec e i suoi compagni dell’Oulipo. Insomma, una conferma di quanto espresso da Eco sul fumetto come linguaggio letterario, già nel lontano 1964… in che misura senti Fun come un tributo all’intellettuale bolognese? 

Sì. Quester è un (cog)nome bellissimo e rubato. A Thomas Mann. L’ho trovato in un’appendice a “La montagna incantata”. Cose che noi fumettisti facciamo. Ribadisco che Pippo Quester NON è Eco, detto questo trovo che nessuno meglio di lui poteva caricarlo di significato. 
Non saremmo così (inutilmente?) liberi, oggi, come autori e come lettori di fumetti, in Italia, senza il suo contributo.
Mio fratello maggiore, Michelangelo, quando compii 14 anni mi regalò una bellissima edizione de “Le Etiopiche” di Hugo Pratt, Bompiani. L’introduzione arricchita dai bellissimi acquerelli di Pratt, chiudeva così: “Pratt rende materia di narrazione avventurosa la propria nostalgia della letteratura, e la nostra.” Firmato: Umberto Eco.

Che è successo durante la stesura del tuo romanzo, quando Umberto Eco è mancato? La realtà è entrata prepotente nella letteratura chiudendo il cerchio della finzione?

Eh, sì. Proprio così. Avevo già deciso di “sopprimere” Quester. Eco ha giocato d’anticipo. Due settimane prima di disegnare il finale di “more Fun”se ne è andato. Ho”usato” (spero rispettosamente) l’ambientazione reale del suo funerale, per quello di Quester. Mi è bastato aggiungere soltanto un po’ di pioggia milanese.