La forma del rapporto epistolare, seppure mutuata nella comunicazione digitale della mail che ha sostituito la lettera, conserva aspetti di profondità nel racconto dei fatti e nel crearsi del pensiero sugli avvenimenti della vita e della società. Ne è testimonianza un piccolo ma prezioso libro nato da uno scambio di riflessioni in piena pandemia, Suonare in caso di tristezza – Dialogo sulla scuola e la democrazia (PM Edizioni, euro 14), scritto da Giuseppe Buondonno, intellettuale di formazione umanistica, studioso del pensiero di Walter Benjamin, e Giuseppe Bagni, presidente nazionale del Cidi, saggista, docente di chimica con sguardo scientifico, entrambi «immigrati digitali che insegnano a nativi digitali».

È UN LIBRO CHE PONE tante questioni e lega indissolubilmente scuola e democrazia, sapere e apprendimento, ma interroga nel profondo su come cambia la conoscenza, il rapporto con la concentrazione, quella rapidità e semplificazione dei linguaggi mediatici che offrono nuove opportunità di scoperta, come rischiano il «galleggiare sulla superficie», che con le parole di uno scrittore civile, Paolo Volponi – lo diceva della società contemporanea della fine del secolo scorso – si può tradurre in «sembra scomparsa la profondità del mondo». Dentro questo scenario «la digitalità e la virtualità tendono a sollecitare le parti dell’apparato celebrale che presiedono alla praticità e alla rapidità, e assai meno quelle preposte alla riflessione e all’astrazione», avverte Buondonno, citando gli apprendimenti ricevuti da un amico neuropsichiatra, aprendo agli aspetti più politici di un neoliberismo che ha cannibalizzato le complessità, abbassando il pensiero critico e compiuto una «involuzione antropologica».

BAGNI INVECE RIFLETTE sul bisogno di insegnare agli studenti come «nutrirsi di conflitto», perché «senza conflitto c’è il dominio e la conservazione», modificare il «modello di conoscenza» per cambiare «il modello di società». Questo tsunami epocale, fatto di trasformazioni tecnologiche che hanno modificato gli stili e i comportamenti di vita, e un capitalismo sempre più mirato a creare divisione e subalternità sociale al fine di massimizzare i profitti globali, ha penetrato nel profondo anche la scuola che ha abdicato al proprio ruolo storico, diventando «un pezzo del mercato, che produce produttori (più o meno utili, più o meno specializzati)», scrive Buondonno, sviscerando la sua formazione fatta di «sano anticorpo marxista e gramsciano». Anche se un’altra scuola, «la scuola della Costituzione», seppure isolata, «resiste e non ha smesso di voler cambiare il mondo».

ALLORA IL PROBLEMA, che è il problema di sempre, è costruire più che l’io, il se stesso sciogliendolo in coscienza personale e collettiva, non parlando a loro, ma con loro (gli studenti) come atto concreto di democrazia permanente, praticando «la scuola dei corpi e della socialità», che questo dialogo di vasi comunicanti cerca tra nostalgia del passato, «della complessità nel nuovo regno della Semplificazione», materia viva del presente e «madre di un progetto» fatto di quella «nostalgia di futuro» di cui parla nella bella introduzione Fabio Mussi.