DOpo gli ormai soliti giorni di attesa rispetto all’approvazione di lunedì in consiglio dei ministri, ieri mattina il decreto pensioni è diventato legge. Firmato dal presidente della repubblica – ed ex componente della Corte costituzionale – Sergio Mattarella è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Non senza sorprese e incongruenze.

La prima è che il solo articolo 1 riguarda l’indicizzazione delle pensioni, annegata in altri sei articoli che trattano altre emergenze: rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga per 1.020 milioni, contratti di solidarietà per 70 milioni, annullamento della svalutazione dei montanti contributivi dovuti al perdurare del calo dei Pil, unificazione della data di pagamento delle pensioni tutte al primo del mese, facilitazione del passaggio del Tfr in busta paga.

Il tentativo – per nulla scontato – di rispettare la ratio della sentenza 70 della Consulta è racchiuso nella premessa del primo articolo: «Nel rispetto del principio dell’equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche in funzione della salvaguardia della solidarietà intergenerazionale».
Confermate invece le percentuali di rimborso: 40 per cento per le pensioni tra 3 e 4 volte il minino (1.200-1.700 euro netti), 20 per cento per quelle da 4 a 5 volte il minimo (2.000 euro netti), 10 per cento per quelle da 5 a 6 volte il minimo (2.400 euro netti). Niente rimborso per le pensioni superiori a questa cifra. C’è poi un meccanismo per tutelare le pensioni eccedenti questi valori per «il limite maggiorato»: soglia più rivalutazione stessa.

Più complicato e assai arzigogolato il passaggio sulle indicizzazioni future. Il testo parla per gli anni 2014 e 2015 di una rivalutazione del 20 per cento, mentre per il 2016 lo fissa nel 50 per cento. L’interpretazione – per niente chiara – che dà il governo è che questa rivalutazione si vada a sommare a quella già prevista dal governo Letta: 100 per cento fino a 3 volte il minimo a scalare fino al 50 per cento da 5 a sei volte. Insomma, sarebbe un piccolo aumento che difatti costerà al governo poche centinaia di milioni di euro per gli anni a venire.
L’altra sorpresa riguarda il comma 2 che esclude il rimborso per chi gode di «altri trattamenti pensionistici, inclusi gli assegni vitalizi derivanti da uffici elettivi»: i parlamentari e consiglieri regionali, dunque.

La grossa incongruenza riguarda ciò che succederà nel 2017. Il ministro Padoan ha assicurato un nuovo sistema di indicizzazione che però sarà migliore rispetto all’attuale. Una norma non richiesta dalla Consulta. Tanto che il presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano non esclude di modificarlo. Così come non esclude di modificare il decreto stesso che comincerà da Montecitorio l’iter di conversione. «Ad esempio si potrebbe introdurre l’estensione della cosiddetta «opzione donna» (donne in pensione a 57 anni di età e 35 di contributi con assegno interamente calcolato col contributivo e quindi decurtato, ndr) per anticipare la flessibilità confermata da Renzi», propone Damiano.
Un’altra sentenza della Corte però rischia di minare i conti dello Stato. Riguarda sempre un blocco, sebbene assai più prolungato dei due anni di perequazione. Si tratta dei sei di blocco della contrattazione nel settore pubblico. La sentenza è prevista per il 23 giugno e in ballo ci sono fra i 12 e 13 miliardi: i soldi risparmiati dallo Stato avendo congelato contratti e scatti di anzianità per buona parte dei 3,3 milioni di dipendenti pubblici.

Le analogie con le pensioni dovrebbero però suonare sinistre per il governo. Anche in questo caso la Consulta negli anni scorsi si è pronunciata approvando la temporaneità del blocco, proprio come approvò quello delle indicizzazione delle pensioni. Gli anni intanto sono diventati sei, una cifra molto alta e difficilmente spiegabile. Porte aperte ad una revisione parziale del blocco e richiesta di rimborso per i lavoratori?

I sindacati intanto continuano a chiedere al ministro Marianna Madia di rinnovare il contratto e preparano la piattaforma unitaria.