Mancano venti giorni al voto e la campagna della destra israeliana è entrata nel vivo, con una certa “creatività”. Il deputato Oren Hazan del partito Tzomet (Crocevia), parafrasando la frase «Quando si spara, si spara, non si parla!» pronunciata in una celebre scena di “Il buono, il brutto e il cattivo” di Sergio Leone, spara e ammazza in uno spot elettorale il suo collega arabo Jamal Zakalka che preferirebbe morire piuttosto che cantare l’inno nazionale israeliano. Hazan gli grida «Se vuoi morire, muori, non minacciare solo di farlo». Più “elegante” lo spot della giovane ministra della giustizia Ayelet Shaked di HaYamin HaHadash (Nuova Destra). Con sguardo sensuale e pose da modella, appare accanto a un flacone di profumo con la scritta “Fascism” mentre una voce fuori campo sussurra «riforma giudiziaria», «separazione dei poteri», «fermare la Corte suprema». Al termine dello spot la ministra si spruzza di “Fascism” e commenta: «Per me odora di democrazia». Ayelet propone una riforma della giustizia che, tra i vari punti, prevede il controllo della politica sulla nomina dei giudici della Corte suprema. Moshe Feiglin, leader del partito Zehut (Identità) che se il 9 aprile supererà la soglia di sbarramento potrebbe regalare una nuova solida maggioranza di destra radicale al premier uscente Netanyahu, raccoglie consensi crescenti grazie all’abbinamento tra le sue abituali invettive rivolte ai palestinesi al sostegno alla legalizzazione della cannabis.

Qualcuno potrebbe trovare divertente tutto questo ma non c’è alcun motivo per sorridere. Per queste elezioni la destra israeliana, incluso il partito Likud di Netanyahu, ha superato indenne quelle che appena qualche anno fa erano considerate linee rosse E se risulterà ancora una volta maggioritaria, con ogni probabilità aprirà le porte del nuovo governo anche al colono Baruch Marzel, del partito Otzma Yehudit (Potere ebraico), discepolo del rabbino razzista Meir Kahane fondatore del movimento Kach (fuorilegge), assassinato negli Stati uniti trent’anni fa. Netanyahu, facendosi promotore dell’alleanza tra i partitini dell’estrema destra per non disperdere voti, ha fatto capire di essere disponibile a dare incarichi di rilievo a Otzma Yehudit in un governo di coalizione. E quando domenica scorsa la Corte suprema ha escluso dal voto il leader di questo partito, Michael Ben-Ari, per il suo esplicito razzismo, l’avvocato Itamar Ben Gvir, uno dei principali esponenti di Otzma Yehudit, ha invocato un ministero di prestigio per Marzel e la presidenza di una commissione parlamentare.

Nato a Boston 60 anni fa e colono israeliano tra i più noti nella zona H2 di Hebron, Marzel è stato il braccio destro del rabbino Kahane e il portavoce del Kach sino al suo scioglimento. Scioglimento solo apparente poiché l’ideologia e le pratiche del partito vivono in una serie di piccole formazioni di destra di cui Otzma Yehudit è solo la rappresentazione più recente. Marzel è stato denunciato svariate volte per aggressioni a danno di palestinesi, di pacifisti israeliani e di agenti di polizia “colpevoli” di averlo ostacolato nella realizzazione dei suoi blitz. Uno dei quali, un paio di anni fa, nell’abitazione di Issa Amro, un noto attivista palestinese di Hebron. Marzel è parte anche del gruppo Lehava (Fiamma) del rabbino Ben Zion Gopstein (un altro discepolo di Kahane) che combatte “l’assimiliazione” e i matrimoni “misti”, peraltro rarissimi, tra ebrei e arabi. Tre militanti di Lehava nel 2014 diedero fuoco di notte alla scuola “Hand in Hand” di Gerusalemme dove ragazzi ebrei e palestinesi studiano insieme. Fino a qualche tempo fa Marzel veniva tenuto a distanza. Tra non molto potrebbe festeggiare la nomina a ministro.

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