A cento anni dall’uscita di Psicologia delle masse e analisi dell’io di Sigmund Freud, la pubblicazione dell’ultimo libro di Claudio Neri, Il gruppo come cura (Raffaello Cortina, pp. 240, € 24,00), che con il testo di Freud condivide l’interesse per la psicologia collettiva, non può non avere una risonanza speciale, sul piano clinico-terapeutico e su quello etico-politico.

Da preziosi frammenti clinici raccolti nel corso della sua pluridecennale attività dedicata alla terapia di gruppo, Neri estrae distillati teorici e prassi psicoterapeutiche tali da rendere questo saggio fondamentale per chiunque voglia occuparsi dell’analisi di gruppo nella clinica psicoanalitica.

La scorrevolezza della scrittura, la costante corrispondenza tra vignette cliniche e riferimenti teorici, l’attenzione alle dinamiche relazionali e una certa impronta «autobiografica» ne rendono avvincente la lettura, che intreccia rigore scientifico a stile narrativo. Solleva inoltre una serie di questioni relative al più ampio registro dei rapporti della psicoanalisi con la cultura e, ancor di più, con la sua dimensione «politica». In un passaggio del testo apparentemente secondario, Claudio Neri sottolinea come il favore della comunità analitica nei confronti della terapia di gruppo abbia conosciuto negli ultimi decenni un significativo declino. Non si può non dargli ragione.

Era un periodo storico ben determinato, all’incirca la seconda metà del secolo scorso, quella in cui le terapie di gruppo conobbero il maggior successo: la crisi dell’autorità (iniziata molto tempo prima, in realtà) si era imposta come nuovo spirito del tempo e la rapida diffusione delle varie terapie di gruppo era un effetto della nuova Weltanschauung. Il gruppo terapeutico, infatti, si proponeva come strumento di funzionamento democratico nel quale l’importanza dei transfert orizzontali, dei legami tra i membri, della capacità di ognuno di interpretare ciò che accade all’altro, stempera e modera il dominio della relazione verticale con il terapeuta.

Non a caso, la progressiva flessione di questa pratica ha coinciso con la progressiva affermazione del neo-liberismo e del nuovo rigurgito individualistico cui la psicoanalisi ha dimostrato di essere sensibile: come ogni altra prassi, essa ha dovuto aggiornare i propri «strumenti» teorici e clinici al clima culturale. Nella passione che traspira da ogni pagina di Neri si avverte la sua totale «fiducia» nel gruppo, che deve riguardare tutte le parti coinvolte e che non si limita alla considerazione delle sue potenzialità terapeutiche, ma il cui concetto sembra configurarsi come una forma di socialità che, più di altre, consente a ogni individuo, grazie al riconoscimento delle persone che ne fanno parte, di emergere in quanto tale.

«Buona socialità», la definisce l’autore: in un’epoca segnata dal continuo rimbalzo tra l’individualismo cinico e l’adesione acritica a movimentismi identitari, contrassegnata, in sostanza, dalla difficoltà di entrare in risonanza con l’altro, di accogliere la differenza, di fare spazio all’estraneo, il gruppo – nell’analisi che offre Neri – si configura come un ideale spazio sociale in cui il processo di soggettivazione può realizzarsi senza precipitare nella rigidità egocentrica o nel consenso conformista. L’implicito invito ha natura politica e indica nel gruppo la cellula fondamentale del legame tra le persone, dalla quale ripartire per ritrovare e promuovere un nuovo senso di solidarietà e di partecipazione sociale.