Il giorno 8 marzo, festa della donna e quest’anno inizio del primo lockdown della nostra vita, sono scivolata nel ristorante – per altro ottimo – di Campagnano, dove ero andata a pranzare con un amico e mi sono rotta un polso. Ho così avuto il privilegio di entrare immediatamente in relazione con il virus perché l’ospedale più vicino dove sono stata portata (e dove mi hanno ingessato dalla spalla in giù) sperimentava le prime ore della pandemia che dunque per ben 8 ore ho  vissuto in presa diretta.  L’apparecchio radiografico necessario a controllare il mio braccio è, infatti, lo stesso che serve a radiografare lo stato dei polmoni; e come è ovvio chi ospitava Corona ha giustamente avuto la precedenza. (Debbo dire che i tempi erano molto lenti anche perché, essendo pur sempre l’8 marzo, gli infermieri uomini arrivavano di continuo, tutti senza eccezione, con mazzetti di fiori da offrire alle colleghe donne).

Vi racconto questo perché, sebbene anch’io come tutti lo neghi, sono superstiziosa e  ho pensato subito che da questo virus mi dovevo aspettare il peggio.

Passata una settimana, tuttavia – forse anche perché mi ci è voluto parecchio di più per capire quanto catastrofica era l’epidemia che l’intero mondo stava vivendo – ho cominciato a nutrire ambigui  e contraddittori sentimenti di simpatia nei confronti di questo Corona. Innanzitutto perché mi sono resa conto in che misura ero dipendente dagli altri esseri umani. Voglio dire che non avevo mai realizzato davvero che ruolo chiave aveva nella mia vita il fornaio o il farmacista, e dunque tutta la complessa articolatissima rete sociale che ci consente di sopravvivere. E dunque l’impossibilità di essere una individua. Vuoi vedere, mi sono detta, che questa bestia invisibile chiamata Corona infliggerà finalmente un colpo a quanto di più orrendo è andato sviluppandosi nelle nostre società, l’individualismo appunto? Ero così entusiasta che, se non sbaglio, ho persino scritto un editoriale chiamandolo «compagno».

Non mi sono del tutto ricreduta, perché in questo tempo è venuta fuori dalla così detta società civile/incivile, una straordinaria energia collettiva nelle tante forme di solidarietà che si sono manifestate, quasi ci fosse un patrimonio nascosto nel nostro mondo che il virus aveva dissotterrato. Avevo solo sottovalutato che non c’è nessuna rivoluzione (e neppure cambiamento che sia davvero tale) che vinca senza spargimento di sangue. E, infatti, fra la prima fase dell’epidemia e la seconda c’è una bella differenza: nella seconda stanno emergendo con più forza di quanto mi sarei attesa i peggiori spiriti bestiali. E così non ho più dato a Corona il titolo di compagno.

Nel prolungarsi delle varie forme di reclusione ho, tuttavia, trovato altri piaceri. Negli oltre 9 mesi che sono già trascorsi, sufficienti a fare un bambino, non potendone purtroppo più fare uno per ragioni di età, ho scelto la manutenzione di me stessa, con ciò seguendo il dettame dell’ «economia circolare» che consiglia la riparazione piuttosto che l’usa e getta. Ho cercato, insomma, di rimettermi a nuovo. Sprofondandomi in letture che non avrei altrimenti mai fatto e che mi hanno portato a scoprire una quantità di cose importantissime su cui non avevo mai riflettuto anche perché non le immaginavo nemmeno.

Ve ne cito due sole, che sono però quelle che più mi hanno «cambiato»: 1) scoprire quanto strettamente apparentati siamo con vermi scarafaggi e pipistrelli, una continuità  che consente a Corona di saltellare da una specie all’altra facendo scempio della nostra arroganza; 2) scoprire che gli umani sono solo lo 0,6 % delle specie che popolano la Terra, un’inezia. Che relativizza il senso d’importanza che ci siamo dati, la nostra autoreferenzialità. Se scompariamo perché Corona ci fa fuori a tutte (metto la e per chiarire che sparirebbero anche le donne), la terra nemmeno se ne accorgerebbe. Due scoperte che possono avere opposti sbocchi: mettere la testa sotto il cuscino e aspettare; oppure darci uno slancio di soggettività eccezionale.

Mi sono comunque così avvilita a fronte di queste scoperte che ho cominciato a reagire; e così, stufa di firmare appelli (a chi poi?) ho avuto l’idea di mettere su una task force di scienziati professionisti qualificatissimi, ma anche contadini, per contribuire a rendere tutti consapevoli ma anche attivi, non solo con una firma, nella battaglia per la sopravvivenza della mia specie. Ho così imparato un sacco di altre cose, e per di più mi diverto molto.

(Lieto fine? Si lo preferisco sempre sia nei libri che nei film. Se però muoio di Covid 19, scrivete per favore: era proprio scalognata).