Lo sciopero dei medici di medicina generale solleva molte perplessità. E la prima riguarda la campagna pubblicitaria organizzata dalla Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale). Non mi sembra il massimo del buon gusto abbinare una giovane donna allo slogan «non vado con il primo che capita» per alludere al malato come se fosse una escort con il problema di scegliere tra medici anonimi e senza qualità. Ma, buon gusto a parte, lo slogan è una autentica mistificazione, esso allude al pericolo di sopprimere la libera scelta del medico curante da parte del cittadino, questione che in nessun caso è in discussione.

È bene comunque sottolineare che pur trattandosi di uno sciopero dichiarato solo dalla Fimmg il sindacato maggioritario (60 per cento), esso spacca praticamente in due la categoria mostrando, a parte le immancabili divergenze tra sindacati, una crisi professionale molto profonda.
Nell’appello, della Fimmg la retorica straborda, nel tentativo di accreditare il medico come unico difensore-garante della medicina pubblica e del malato. Tuttavia, dopo il suo ultimo congresso che ha proposto di limitare la sanità pubblica solo per gli indigenti, esso risulta stucchevole e ipocrita. Non è credibile che chi è disposto, per difendere i propri interessi, a snaturare i diritti delle persone possa essere sinceramente preoccupato dei loro destini.

Al fondo dello sciopero c’è ben altro ed è il voler restare come medici di famiglia dei liberi professionisti garantiti. Il medico di medicina generale è un genere di professione ibrida, libero professionista ma pagato, anche più degli altri (il 38 per cento in più degli ospedalieri) con le garanzie del pubblico dipendente. Una specie di ornitorinco.

Ebbene oggi questo status speciale è diventato, soprattutto per le Regioni, un problema economico. Ora che il governo Renzi ha imposto nuovi tagli lineari alla sanità programmando il definanziamento progressivo del sistema, è arrivato anche il turno degli ornitorinchi. Lo sciopero quindi è soprattutto contro le Regioni, per spingere il governo a intervenire sulle loro strategie, fatto non per problemi contrattuali perché la trattativa non è ancora iniziata, non per ragioni retributive perché la Fimmg accetta di rinnovare la sua convenzione a costo zero.

L’appello della Fimmg non lascia ombra di dubbio sulle sue reali preoccupazioni: «La medicina generale sta per essere consegnata ai burocrati delle regioni (…)noi non potremo più organizzare autonomamente il nostro studio e la nostra giornata di lavoro secondo le esigenze dei nostri assistiti e secondo orari adatti alle nostre attività (…)corriamo il concreto rischio di finire… vincolati da ordini impartiti da dirigenti e tecnocrati aziendali».

Tre sono i problemi che a mio parere la Fimmg si ostina a non voler capire:1) I tagli lineari stanno costringendo tutte le Regioni a ridimensionare strutturalmente il sistema ospedaliero, ormai diventato il caprio espiatorio delle misure di risparmio, per cui serve compensare con una maggiore assistenza territoriale. Ma tutti sanno che è inutile parlare di assistenza territoriale senza ridimensionare l’autarchia dei medici di medicina generale; 2) La questione dell’enforcement, cioè dell’esecuzione degli obblighi previsti dalla convenzione. I medici di medicina generale fino ad ora hanno dimostrato di essere scarsamente self-enforcing. Se avessimo attuato tutto quello che è stato scritto nelle loro convenzioni, non saremmo nelle condizioni in cui siamo. Ciò che oggi propongono le Regioni è ampiamente previsto da anni nella normativa di supporto al rinnovo delle convenzioni; 3) Abbiamo bisogno come il pane di una vera riforma delle cure primarie per il semplice motivo che la medicina generale è diventata, sul piano della tutela, la cerniera tra la domanda di salute e l’offerta sanitaria, mentre, su quello della sostenibilità, la variabile principale per controllare i costi di tutto il sistema. Lo sciopero della Fimmg, pur avendo i medici di famiglia il diritto sacrosanto di rinnovare la convenzione, mette in pericolo proprio ciò che la Fimmg vuole legittimamente difendere vale a dire il suo status libero-professionale garantito. La sua indisponibilità ad integrarsi con il resto dei servizi territoriali e ospedalieri obbliga le Regioni a prendere atto che la convenzione ormai crea più problemi che soluzioni e quindi forte diventa la tentazione di superarla.

A tirare troppo la corda la Fimmg rischia di mettere i medici di famiglia davanti ad una alternativa: la liberalizzazione della convenzione o la sua para-statalizzazione cioè l’assimilazione della convenzione ad un contratto di dipendenza pubblica. Vi sarebbe una terza via, quella di giocarsi la carta dell’auto-re cioè di un’altra idea di medico e di cure primarie: auto-nomia in cambio di re-sponsabilità. Oggi il medico di famiglia è pagato a quota capitaria cioè secondo il numero di assistiti e quindi indipendentemente da quello che effettivamente fa anche se quello che effettivamente fa è spesso omissivo cioè anche se non fa è pagato lo stesso.